In un articolo di Paola Springhetti uscito sabato scorso qui su Agorà, ho letto i dati di una recente ricerca sui libri e la lettura. Il 62% degli italiani non legge mai un libro, o meno di uno l'anno. La ragione addotta è che leggere libri è un lusso. Inoltre la lettura è una perdita di tempo (secondo il 61% dei non lettori), è troppo faticosa (secondo il 21%) e ricorda le tristezze della scuola. Ma in sostanza il dato più nuovo è un altro. Gli italiani comprano i libri (2% in più rispetto al 2003) ma poi non li leggono, perché non sanno quando e dove farlo. Siamo un popolo senza abitudini culturali. Nell'arco della giornata c'è sempre qualcosa di meglio, di più facile o di più urgente da fare. Come si vede, il problema della non-lettura non è più l'acquisto dei libri: è che il tipo di vita che facciamo (soprattutto in città) tende a escludere la lettura dei libri. Decidere di leggere un libro e poi farlo veramente, richiede una forza di carattere o una passione che non si ha.
Italo Calvino, che ai suoi lettori ci teneva, capì bene la situazione e si allarmò. Il suo romanzo del 1979 si apriva con una appello al lettore, a cui venivano impartite le seguenti istruzioni: «Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d'inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni pensiero (") La porta è meglio chiuderla; di là c'è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: "No, non voglio vedere la televisione". Alza la voce, se non ti sentono: "Sto leggendo! Non voglio essere disturbato". (") Prendi la posizione più comoda: seduto, sdraiato, raggomitolato, coricato (") Puoi anche metterti a testa in giù, in posizione yoga. Col libro capovolto, si capisce».
Se lo avessi detto io, non mi avreste ascoltato. Ma l'ha detto Calvino, dategli retta.