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Con Montaigne a lezione dai classici: così nacque l'umanesimo moderno

Alfonso Berardinelli sabato 1 dicembre 2012
Si potrebbe dire che l'umanesimo occidentale è nato due volte. La prima in un periodo che va da Petrarca a Erasmo. La seconda volta nasce con Michel de Montaigne (1533-1592) e prende una strada completamente diversa. Montaigne non è né un erudito né un filologo, non esalta la libertà e i poteri umani. Oscillava continuamente, dubitando di tutto e cambiando umore. Il suo stile è umile e non sublime. È un filosofo morale, ma non formula precetti né traccia una via. Procede senza un metodo preciso, si attiene ai dati dell'umana esistenza studiando la propria. Realistico e scettico, non idealizza, ma annota e regista i mutamenti. Disse di sé che non aveva memoria, certo non l'eccezionale e coltivata memoria di Marsilio Ficino o Giovanni Pico della Mirandola, campioni in mnemotecnica. Fonda un nuovo modo di concepire la filosofia che deve molto sia a Orazio (epicureo) che a Seneca (stoico).Quando poco prima dei quarant'anni si ritirò nella torre del suo castello, fornita di una biblioteca di fronte alla quale rifletteva e scriveva, fece incidere sulle travi una serie di sentenze greche e latine che avrebbe avuto ogni giorno sotto gli occhi per ruminarle e meditarle. I suoi Saggi sono il risultato di un confronto fra quella sapienza antica e le sue osservazioni su se stesso e il mondo contemporaneo. È appena uscito un prezioso libretto (edizioni La Vita Felice) presentato da Armando Torno, che raccoglie quelle sentenze. Si ha l'impressione di toccare il cuore delle convinzioni di Montaigne, di un uomo che è alle origini delle moderne filosofie dell'esistenza e che succhia dai classici antichi quei pensieri che più disincantano e confortano. In quelle frasi c'è il nocciolo della sua tradizione personale, da Omero a aan Paolo. Che cosa ci dicono? Che il desiderio di conoscenza è un tormento, che non è mai del tutto vera né un'affermazione né il suo contrario, che la caducità ci domina, che l'attenzione umile a ciò che siamo ci libera dalle illusioni, che è meglio non voler sapere più di quanto è necessario, che l'unica regola da rispettare è il senso del limite e che infine non bisogna desiderare né temere la morte.