Con le poesiole di Toti Scialoja sui topini nonsense e meccaniche sonore
Le poesie di Scialoja sono in effetti minimi meccanismi verbali, minuscole trappole sonore dentro cui la nostra mente acustica cade incantata. Un esempio: «Topo, topo, / senza scopo, / dopo te cosa vien dopo?» È la percussione sonora, è la ripetizione delle sillabe uguali a ipnotizzare. Quel topo, già al primo versicolo torna due volte. Perché! Come saperlo, se quel topo è senza scopo? E' un topo svincolato dal prima e dal dopo. Da ogni legame, significato e contesto. E' un topo assoluto. Dopo di lui che cosa ci sarà? E' evidente che non ci sarà niente. Queste poesie hanno l'effetto dei koan nel buddismo Zen: fanno uscire la mente da se stessa, o meglio dalla sua meccanica razionale, in virtù di un'opposta meccanica sonora. Dalle sillabe di una parola Scialoja fa uscire mondi che hanno la durata e il peso di una bolla di sapone. Sto scrivendo nell'alto Lazio, a Tuscania, ex Etruria, non posso che citare perciò questo micro-racconto: «Ieri, al crepuscolo, tra il lusco e il brusco, / vidi un minuscolo topino etrusco». Leggete Scialoja. Seppure ci tenete, non saprete più chi siete.