Come si reagisce alle malattie, soprattutto a quelle gravi, a quelle della serie "non credevo potesse succedere a me"? Si possono fare solo ipotesi. Di certo avremo paura. Quella non ce la toglie nessuno. Sarà anche per questo che a un certo punto del docufilm Alla salute, andato in onda lunedì alle 21,10 su LaEffe (canale 135 di Sky), la voce fuori campo riflette sul fatto che la morte è l'unica certezza della vita, ma anche che alla morte dobbiamo chiedere il dono più grande che la morte stessa ci insegna sulla vita: la mancanza di paura. Non c'è visione di fede in una riflessione del genere, ma c'è almeno il buon senso di chiedere il tempo di pensare alla morte e non di toccare ferro o qualcos'altro al solo nominarla. È istruttivo anche in questo il coraggioso lavoro di Brunella Filì dedicato alla storia del food performer pugliese Nick Difino a cui nel 2015 fu diagnosticato un tumore e decise di documentare le fasi della cura. La pellicola, dura e sconvolgente, alterna così riprese in soggettiva a video selfie di Nick durante la chemioterapia, oltre ad alcuni interventi di amici cuochi e giornalisti che si mettono ai fornelli per cucinare le ricette citate di volta in volta dal protagonista e raccontare la propria versione di questa vicenda che li ha coinvolti emotivamente in prima persona. Ma è soprattutto grazie all'ironia che il docufilm trasforma la lotta contro il cancro in un'occasione per indagare su come si possa essere felici anche se gravemente malati, senza nascondere i momenti drammatici come la caduta dei cappelli e il corpo che cambia. Nick rifiuta di dover rinunciare a ciò che ama di più e nella fase più acuta della malattia riesce addirittura a condurre un programma televisivo. Proprio la cucina diventa lo strumento per creare la propria "ricetta della felicità", realizzando piatti gourmet e interrogandosi allo stesso tempo sull'amore, sul rapporto con i propri cari, sui piaceri della vita e anche, come detto, sul tema della morte. In chiusura, due anni dopo l'inizio della cura, troviamo Nick in barca a vela con l'oncologo che lo segue e che ha fatto della metafora marinara lo stimolo per andare avanti perché nessuno può permettersi il lusso di affondare.