Al di là di considerazioni più generali sul modello di democrazia, il premierato elettivo presenta significative criticità di funzionamento collegate alla rigidità del sistema. L’elezione diretta, in particolare, crea un vincolo che si è soliti indicare con l’espressione latina simul stabunt simul cadent. Le sorti del Premier eletto e quelle del Parlamento sono indissolubilmente legate: se cade il primo, deve cadere anche il secondo e in caso di crisi si torna inevitabilmente alle urne. Avviene già così per i presidenti di Regione e i sindaci, ricordano i fautori di questo sistema, dimenticando che i livelli istituzionali non sono confrontabili. Esperienze anche recenti hanno dimostrato in maniera lampante come sul piano nazionale e internazionale si possano determinare situazioni che suggeriscano e talvolta impongano di evitare le elezioni anticipate, anche senza immaginare per forza emergenze catastrofiche. Non è in discussione, ovviamente, il rapporto che deve sussistere (e va rafforzato) tra le scelte degli elettori e chi è chiamato a esprimere il governo, è l’automatismo che non va. A proposito della rigidità di questo meccanismo, pur in un altro contesto, il grande costituzionalista Leopoldo Elia parlava di «un sistema a tenuta stagna, a circolo chiuso, che non lascia aperto nessuno spiraglio di dialettica politica seria all’indomani delle elezioni». Il nodo è l’elezione diretta: non può essere un caso che per il Premier non sia prevista in nessun ordinamento democratico. Certo, l’idea che di fronte a una crisi politica si debba tornare per forza alle urne può apparire convincente perché fa leva sul ruolo dell’elettorato che per definizione è centrale in una democrazia. Ma siamo sicuri che negare ogni spazio alla politica non sia piuttosto un modo di scaricare sugli elettori le responsabilità che altri non si vogliono assumere? Se l’elezione diretta non è un’opzione ideologica, le alternative non mancano. Le proposte che prevedono l’indicazione del premier sulla scheda e l’istituto della sfiducia costruttiva, per esempio, sono idonee a perseguire gli obiettivi di governabilità e di collegamento forte con gli elettori senza le conseguenze negative dell’elezione diretta.
Attenzione, poi, perché gli effetti dell’automatismo crisi-elezioni possono essere imprevedibili. «Il tentativo di stabilizzazione dell’esecutivo si può capovolgere in instabilità delle legislature». È stato il politologo Pasquale Pasquino, studioso di lungo corso e docente in Francia e negli Usa, a mettere in luce questo paradosso che finora è rimasto ai margini del dibattito sul premierato. «Scomparso dai radar», ha scritto lui stesso in un recente intervento. In Italia il problema della durata delle legislature non è paragonabile a quello della durata dei governi, la cui breve vita – salvo le note eccezioni – è uno dei principali motivi che vengono addotti a sostegno dell’introduzione del premierato. La legislatura che ha preceduto quella in corso ha visto lo scioglimento delle Camere con soltanto otto mesi di anticipo rispetto alla scadenza costituzionale di cinque anni, che è stata rispettata dalle due legislature precedenti (2008-2013 e 2013-2018). Il sito di fact-checking “Pagella politica” ha calcolato dal 1948 a oggi una media di poco più di quattro anni, analoga a quella della Francia e superiore a quella del Regno Unito.
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