Con Carlo Di Lieto la letteratura finisce sul lettino
Per il tramonto africano di Rimbaud, Di Lieto si avvale soprattutto del lavoro di Sandro Tirini, Je suis ici… (Genesi 2015, peraltro prefato da Di Lieto stesso), e indulge a qualche luogo comune come «la figura materna dà il colpo di grazia a una mente dissociata [di Rimbaud]». In realtà la madre del poeta è una figura delle più calunniate dai critici: autoritaria lo era certamente, ma con molte attenuanti. Vitalie Cuif, abbandonata dal marito, allevò con la massima cura i quattro figli, fra i quali il genio Arthur che fu sempre il suo preferito. Quando Verlaine minacciò di suicidarsi, racconta Claude Jeancolas (un'autorità fra i rimbaldologi), Vitalie gli scrisse una lettera commovente e terribilmente umana: «Siate forte e coraggioso, lottate, lottate…». E quando da Londra Arthur, dopo l'affaire con Verlaine, gridò aiuto, la madre lo raggiunse immediatamente con la figlia Vitalie, lei che non aveva mai varcato i confini delle Ardenne. Del resto, tutta la corrispondenza africana di Rimbaud (che l'editore Aragno ha tradotto per gli italofoni in due grossi volumi, a cura di Vito Sorbello, nel 2014) è diretta prevalentemente a lei.
Il telegramma d'aiuto che il poeta, con la gamba in cancrena, invia da Marsiglia alla madre il 22 maggio 1891, riceve risposta lo stesso giorno: «Parto, arriverò domani. Coraggio e pazienza». La madre restò due settimane accanto al figlio, poi lo accolse convalescente a Roche per qualche settimana a fine luglio. Il poeta volle ritornare a Marsiglia a fine agosto, e il 10 novembre morì. Certo, gestire un personaggio come Rimbaud non doveva essere facile neppure per sua madre che, probabilmente, avrà fatto tutto quel che poteva e riusciva, comprese le spese per la pubblicazione della Saison en enfer. In tanti, non ultimo Carlo Di Lieto, hanno cercato di interpretare freudianamente i traumi di Rimbaud, compreso il discusso stupro durante la Comune di Parigi: ma siamo sempre alla lapidaria ammissione di Verlaine che, nel 1895, così scriveva dell'amico: «È il più complicato degli esseri umani che mi è accaduto d'incontrare».
Alessandro Manzoni offre un ricchissimo materiale di studio per gli psicanalisti, e Di Lieto raccoglie testimonianze ottocentesche e di studiosi contemporanei. A suo avviso, Manzoni sente attrazione e ripulsa per Gertrude, e don Abbondio potrebbe essere un suo doppio; fondamentali le figure di donna Prassede e di don Ferrante, emblemi della fuga da sé, rispettivamente, nelle "opere di bene" e nella cultura. L'analisi più convincente della biografia di Manzoni riflessa nel romanzo è però stata compiuta da Aldo Spranzi (Alla scoperta dei "Promessi sposi", 2011), che evidentemente Di Lieto non conosce e comunque non cita.