Se gli occhi sono lo specchio dell'anima, immagino che sia molto bella quella della maestra che ho visto ieri in un servizio del telegiornale mentre accoglieva i suoi alunni per il primo giorno di scuola. Sopra la mascherina, stivate in uno sguardo attento ma non infelice, c'erano preoccupazione, rassegnazione, speranza. Per questo, oltre a compatire i nostri ragazzi attesi da una sfida più pesante della cartella che portano sulle spalle, mi pare doveroso dedicare un grazie collettivo e preventivo agli insegnanti, che valorosamente da qui a giugno continueranno a fare quello che hanno già fatto nei mesi più duri della pandemia, inventandosi tutto il possibile per salvare il salvabile. Questo genere di scuola in presenza, improvvisato su due piedi arrabattandosi tra improbabili banchi con le ruote e responsabilità da scaricare sempre su qualcun altro, resta comunque la migliore forma di didattica possibile. Non siamo fatti per frequentarci da uno schermo: anche in questo tempo infernale abbiamo capito, e i ragazzi stessi l'hanno capito prima di tutti, che la scuola fisica è il luogo centrale per ritrovarsi e crescere, per contagiarci con il nostro carattere. E anche per sopportarci, per scoprirci, per capirci. Perché nella vita è fondamentale istruirsi, ma ancora più importante è diventare e restare per sempre compagno di banco di qualcuno.