Le innumerevoli forme associative in cui agisce il volontariato di matrice cattolica, rappresentativo della vitalità del mondo ecclesiale, sono soggette alla legge 266/91, meglio conosciuta come legge quadro sul volontariato. Anche se molte associazioni di volontari sono nate e si sviluppano su sollecitazione di parroci e di sacerdoti, il funzionamento dell'organizzazione associativa, regolarmente registrata, è soggetta esclusivamente alla legge quadro. Una recente proposta di riforma della legge, in particolare sulla ripartizione dei fondi messi a disposizione del settore, è attualmente oggetto di critiche da parte delle numerose organizzazioni interessate, che lamentano anche di essere state escluse da ogni forma di partecipazione al progetto di riforma.
Altri aspetti della legge 266 hanno dimostrato nel tempo la loro validità. Ed una recente sentenza del Tar del Piemonte (n.1043 del 15 aprile scorso) chiarisce le disposizioni che consentono all'associazione di poter usufruire anche di entrate derivanti da attività commerciali e produttive, purché svolte con carattere marginale. Queste attività, che non devono essere volte per un fine di lucro, del tutto incompatibile con il volontariato, sono state meglio definite da un decreto del ministero delle Finanze del 25 maggio 1995. I proventi consentiti all'organizzazione possono pervenire, ad esempio, da vendite occasionali nel corso di feste parrocchiali, anniversari ecc.; da campagne di sensibilizzazione alle finalità dell'associazione; da cessione di beni prodotti dalle persone assistite o dagli stessi volontari (sempre che la vendita sia curata direttamente); da somministrazione di alimenti e bevande nel corso di raduni, da celebrazioni ecc.; da servizi effettuati anche dietro pagamento di un compenso che non superi però il 50% del costo naturale del servizio.
Se si oltrepassano le condizioni di marginalità delle iniziative commerciali, l'associazione diventa automaticamente obbligata all'iscrizione all'Inps e al versamento dei relativi contributi pensionistici. Per assicurare il carattere di marginalità non è quindi consentito l'impiego di quei mezzi e di quelle strutture professionali che sono generalmente utilizzate dalle aziende che operano sul mercato (ad esempio: la pubblicità dei prodotti, le insegne luminose, i locali attrezzati, i marchi distintivi ecc.).
Da tutte queste indicazioni prende spunto la sentenza del Tar piemontese, sul caso ad esso sottoposto, per aggiungere anche l'impossibilità per il volontariato di partecipare a «procedure di evidenza pubblica» (leggi: appalti) indette da una pubblica amministrazione. È frequente l'ipotesi di partecipazione a bandi comunali per lo svolgimento di servizi sociali sul territorio. La presenza del volontariato negli appalti pubblici altera infatti i normali parametri della libera concorrenza, tenuto conto delle numerose agevolazioni di cui gode ogni associazione di volontari.