Come quella bambina dentro al mare d’erba
ma io di nascosto partivo per le mie esplorazioni. Quale forza hanno certi ricordi, specie quelli legati all’olfatto, i primi che cogliamo, forse i più ancestrali: risento il profumo dei fiori ebbri di sole, distillato di pura estate. Rivedo l’ondeggiare dell’erba sopra ai miei occhi, nel ronzare dei calabroni. Io non ero più una bambina di Milano, ma una tigre, in una giungla splendente. Il sole sui capelli, le mie mani che si facevano largo nel muro d’erba. Mi richiamava indietro solo la voce di mia madre: “Marina?” E già al secondo richiamo percepivo in quella voce una nota di inquietudine. Allora emergevo, malvolentieri, accaldata, dal mio mare. Che scossa, dalla catena dei neuroni, la memoria ritrovata di quelle estati bambine: un dono, in questo luglio di tanti anni dopo. “Ti ricordi?” È come se mi venisse chiesto. Ti ricordi come vedevi il mondo, e com’eri tu, allora? Mi ricordo. Il mondo mi sembrava meraviglioso. Mia madre era un porto sicuro in cui trovavo rifugio. Mia sorella mi prendeva per mano e mi insegnava. Il mio fratello grande mi tirava su da terra, alta, alta, finché strillavo di rimettermi a terra. Attorno, in quelle estati, le vecchie ampezzane ancora con le gonne lunghe e nere mi lasciavano raccogliere il fieno con il rastrello di legno. Troppo lungo per me il rastrello, e che fatica, sotto al sole: ma ero orgogliosa di lavorare con loro. La sera, le dita mi facevano male. Vesciche: scoprivo con stupore che era duro, il lavoro nei campi. Poi quelle donne al tramonto, sedute davanti a casa di fronte alle montagne, come nonne mi raccontavano storie. Giuditta, Emma, Rachele, vi vedo ancora. (Ma dove siete tutti, adesso, voi, occhi buoni chini su me bambina?) Il mare d’erba davanti a me oggi ondeggia in un fruscio appena percepibile. Dove siete andati, tutti? Mi avete abbandonata. Oppure, forse? Siete così vicini, così profondamente dentro di me che non vi vedo.
Siete qui ancora, e la tenerezza con cui mi sentivo guardata da voi ora mi sbalordisce e contagia. “Ti ricordi com’eri?” Un dono: per un istante, di nuovo limpida come quella bambina dentro al mare d’erba. Poi, rapidissimo, il cielo si oscura e tuona, e grandina. Avevano ragione i montanari a raccogliere il fieno in fretta, stamattina: saggi come le nonne ampezzane che conoscevano i segni della tempesta vicina, nella sapienza che noi abbiamo perduto. © riproduzione riservata