Pirandello impazzirebbe di gioia, o impazzirebbe e basta. La realtà, drogata dal web, sfuma e cessa di esistere lasciandoci in pasto il suo fantasma. Che cosa è vero, che cosa è finzione? Pane per i denti aguzzi di un Borges. Tutto nelle prime righe dell'articolo di Danilo Broggi ("Giornale", 10/7): «"The Shed of Dulwich" (letteralmente "Il capanno di Dulwich") ha spopolato su Tripadvisor diventando il ristorante londinese numero uno nella classifica del noto portale dedicato a viaggi, turismo e ristorazione. Così finanzieri, attori e vip hanno cercato disperatamente di prenotare un tavolo, senza mai riuscirci perché veniva detto loro che era sempre completo. Come mai? Beh, semplicemente non esisteva. Era il parto della fantasia di Oobah Butler, un freelance writer che ha voluto sperimentare come il capanno nella sua modesta casa a nord di Londra potesse trasformarsi nel ristorante più cool della capitale lavorando di post e like». Butler ha compreso che la gente crede a quel che è piacevole credere, a ciò che conferma le sue opinioni e ne solletica gli appetiti. Tutti quei post, tutti quei like... E il web come tempio a cui affidarsi devoti. Pazienza se il catenaccio cade nel solito errore del «famoso scherzo di Orson Welles», che scherzo non fu affatto ma straordinario realismo: un equivoco. Troppo, decisamente troppo è il potere consegnato al nostro smartphone. Ma una difesa c'è. Broggi riferisce le ricerche degli psicologi dell'Università di Rochester: «Le persone sole senza dispositivi elettronici per 15 minuti (nell'arco di un'ora) hanno iniziato a pensare e a scegliere dove indirizzare i loro pensieri, sentendosi più calme, meno arrabbiate o ansiose, senza provare sentimenti di solitudine o tristezza». Intanto Butler per un giorno ha aperto il Capanno servendo zuppe in scatola e cibi precotti: una strage di like.