Domenica 19 aprile, piazza San Pietro sbarrata. Dentro l'abbraccio poderoso del Colonnato solo il canto delle fontane, e i santi e martiri di pietra che guardano dall'alto. Sul selciato, sotto a un sole incerto, la distesa di migliaia di sanpietrini lisi, nel tempo, dai piedi di milioni di pellegrini. Quante volte ho visto questa piazza stracolma di fedeli che si contendevano centimetri di spazio, che si accalcavano sudati. I colori accesi delle bandiere, gli striscioni, e le voci acclamanti, all'arrivo del Papa. La Chiesa universale sembrava contenuta in San Pietro, nei volti neri o bianchi, nordici o mediterranei. Ero qui anche il 3 aprile 2005, domenica della Divina Misericordia, come stamattina. Giovanni Paolo II era morto da due giorni. Molti di noi si sentivano orfani. Le campane a morto che avevano accompagnato l'annuncio, la sera del 2 aprile, battevano ancora nella nostra memoria, indimenticabili, scure. Ed eravamo lì come figli smarriti, quando alla fine della Messa di suffragio il celebrante estrasse dalla veste un pezzo di carta piegato. Era l'omelia che Giovanni Paolo II aveva preparato per quella domenica. Noi sussultammo, come ci venisse letto il testamento di un padre. «Con fiducia – aveva lasciato scritto il morente – ti ripetiamo quest'oggi: Gesù, abbi misericordia di noi e del mondo intero». La grande folla si commosse, molti gli occhi lucidi. Poi, le ultime parole: «Colui che ha patito ed è morto per noi, è veramente risorto». Ci sembrò la voce certa di chi, ormai in Dio, testimoniava la verità della promessa di Cristo. E il sagrato ammutolì, noi immobili su questi sanpietrini ora deserti. Solo in quell'attimo di silenzio la piazza oggi, nel tempo dell'epidemia, ricorda la domenica di allora. Ma quel "È veramente risorto", così incrollabile, come fatto di roccia, mi pare di sentirlo ancora. Vero per sempre, sotto al gran cielo di Roma.