Come fanno i bambini ad amare questo calcio?
Che cosa hanno in comune questo infinitamente grande e questo desolatamente piccolo? Che c'entra una gestione diffusa (verrebbe da aggiungere non solo in Italia) di un sistema economico dopato e scientemente insostenibile con questa forma di violenza che diventa ancor più disgustosa nel momento in cui si tenta di minimizzarla? Poco, per i disattenti. Moltissimo per chi ama lo sport e il calcio e per chi vuole leggere il contesto nella sua complessità. Quello che queste due storie hanno in comune è l'evidenza di un mondo (qui si intende principalmente lo show business del calcio di serie A) che sembra fuori controllo. Dove sembra valere tutto e non ci siano regole. Dove l'impunità sembra regnare sovrana. Dove lo scopo sembra giustifica tutto. Dove il rispetto (nella forma più trasversale: il rispetto del buonsenso, delle regole, delle persone) sembra un accessorio. Chi scrive ama il calcio, insieme a tutto il resto dello sport, visceralmente, ma ormai la domanda che mi pongo è sempre più frequentemente: "Perché?" Probabilmente per il bambino che ho dentro, per la memoria di un calcio con il quale sono cresciuto e che era fatto di emozioni sul serio, di una squadra che ho amato e che amo perché mi ha fatto sognare, arrabbiare o urlare di felicità. Se non fosse per quel bambino di una quarantina di anni fa, temo che oggi il calcio mi darebbe le stesse emozioni del wrestling, quella forma di combattimento dove tutto è dichiaratamente finto: zero. E se quel "me bambino" ancora mi permette di amare il calcio e sperare che, prima o poi, gli venga restituito quel bellissimo giocattolo, la seconda domanda che mi faccio è: i bambini di oggi, il calcio, come fanno ad amarlo?
Beh, se non vuole farlo per romanticismo il mondo del calcio lo faccia per egoismo: perché se non costruisce un argine a questo stato delle cose rischia di perdere tutti i suoi futuri clienti e rischia, come quelle patologie autoimmuni, di attaccare e distruggere quello stesso organismo che gli dona la vita.