Si resta spiazzati dagli asterischi che costellano
I privilegi dell'ignoranza di Francesco Carbone (et al./Edizioni, pp. 220, euro 15). Asterischi che accompagnano parole o locuzioni che sembrerebbero non averne bisogno, per esempio, "rubricare*", "testi tra loro per lo più discordi*", "prendere o lasciare*": insomma, che ci stanno a fare questi asterischi che non rimandano a note a piede di pagina, né a fine capitolo, né a fine volume? La soluzione è a p. 87, e bisogna arrivare fin lì: «Generici asterischi invece che numeri precisi: indicano la presente assenza di note fantasma. Queste non corrispondono, a differenza che nei saggi degni, ad alcun punto specifico del testo. Queste note sono l'ombra del testo: le abbiamo scritte e subito dopo occultate. Queste note, come seppe scrivere di sé stesso solo Franz Kafka, rientrano nel caso delle cose scritte per non essere lette». Applausi. C'è del genio in questo delirio. Il libro racconta le divagazioni mentali di cinque madrigalisti, non digiuni di filosofia, alle prese con
La critica della ragion pura di Immanuel Kant, che nessuno di loro ha letto fino in fondo (uno, forse, ce l'ha fatta, ma non lo dirà mai). Con il dubbio, partecipato al lettore, che il timore reverenziale che scaturisce dall'opera del sommo pensatore sia dovuto non tanto all'inadeguatezza dei lettori di Kant, quanto all'intrinseca incomprensibilità del testo. Lo stato d'animo del lettore di Kant è magistralmente descritto: «A seguire quella sintassi forse si sapeva da dove si partiva ma mai dove, e soprattutto se, si arrivasse da qualche parte... Quando ormai la cordicella del pensiero del lettore s'era quasi del tutto sfilacciata, l'elice intricatissimo della frase tornava a impennarsi indietro, verso un periodo principale già mezzo disperso nella memoria, mozzicone rimasto a pencolare sul bordo di un niagara di ipotassi che aveva abbandonato il lettore ad annaspare nell'incomprensibile». Del resto, Kant scrive: «Tutte le sostanze, in quanto possono essere percepite nello spazio come simultanee, sono tra loro in una azione reciproca universale». Di fronte a una frase come questa, e di ben altrimenti ardue si nutre la "Critica", è il lettore a non capire oppure, semplicemente, la frase è insensata? Non mancano osservazioni pertinenti assai: «Anche per Kant senza Dio nulla ha senso... Ma proprio Dio si rivelò, ai suoi stessi fedeli, ancor più indimostrabile e innecessario di quanto Kant osasse temere. Abbandonato il Colosseo teologico per salvare l'Urbe teoretica, la questione divenne se questa conservasse la coerenza vitale di una città o se si riducesse a un'acropoli sì maestosa, ma scentrata in un marasma di malariche rovine». Il libro non è né una parodia né, tanto meno, un'introduzione alla "Critica della ragion pura". È, per gente che ha tempo, una gustosa miscellanea di digressioni letterarie, filosofiche e musicali, in cui Bouvard e Pécuchet passeggiano con Adam Belinski e apprezzano Hetty Hillesum, per non parlare degli incubi di Heinrich Füssli e del Concerto n. 2 per oboe e orchestra di Friedrich Wilhelm Herschel, il musicista astronomo, contemporaneo di Kant. I 57 brevi capitoli sono corredati da piccole riproduzioni fotografiche, compresa "L'origine du monde", di Courbet, visitatissima impudicizia del Musée d'Orsay. Temo, e mi dispiace per l'editore, che di questo libro si venderanno non più di 87 copie, e forse aveva ragione Tolstoj nell'asserire che se Kant non fosse stato un così accanito fumatore, i suoi scritti sarebbero risultati ben più chiari.