Le Olimpiadi sono un evento essenzialmente televisivo, a maggior ragione queste di Tokyo segnate dalla pandemia. Ma non tutti gli sport sono ugualmente televisivi. Ad esempio tra vedere i 100 metri di atletica dal vivo o vederli in tv ci può non essere molta differenza, se si esclude il coinvolgimento ambientale quando si è presenti alla gara. Se poi la vince un italiano, significa, come nel caso di domenica scorsa, aver partecipato a un evento. Ma questo è campanilismo e non c'entra con il ragionamento che stiamo facendo, che tra l'altro non è solo tecnico: è anche la dimostrazione della differenza, che è sempre bene ribadire, tra la realtà e la sua rappresentazione. In questo senso l'esempio più calzante viene da uno sport non olimpico (che per alcuni non è nemmeno uno sport), la Formula 1, dove la televisione, con lo schiacciamento dei piani, non consente di cogliere i rapporti reali di spazio e quindi la velocità, che è l'essenza stessa di questa specialità. Lo sa bene chi ha visto un Gran premio dal vivo. Diversamente, e torniamo a una disciplina olimpica, uno degli sport più televisivi è il ciclismo, che molto più di altri si presta a essere raccontato dalla telecamere. Tra l'altro seguirlo dal vivo è quasi impossibile. Chi si reca a bordo strada sa che al passaggio dei ciclisti riesce a malapena a distinguere qualcuno dal colore della maglia. In tv, invece, di una corsa si riesce ad avere un'idea precisa grazie alle riprese dalle moto e dall'elicottero. Di contro, lo sport in assoluto più ripreso dalle telecamere, ovvero il calcio, è tra i meno televisivi a causa delle anomalie rispetto all'avvenimento reale. Le immagini sono sempre parziali (ad esempio quando si parla di «squadra corta» si vede uno schermo pieno anziché mezzo campo vuoto). Addirittura sulle angolazioni dall'alto e le telecamere non in linea si è costruito uno strumento di presunta verità: il Var.