Come sta cambiando il nostro modo di informarci online
Che il mondo del giornalismo sia profondamente cambiato con l'avvento del digitale, ormai lo sanno anche i sassi. Sorvoliamo sul fatto che «sapere» non basta per «capire» (e agire di conseguenza) e focalizziamo l'attenzione su uno studio di ComScore che ha analizzato il modo in cui sta cambiando il modo di leggere le news online (qui il report completo). E precisamente come si comportano a riguardo la «Generazione Z» (quella di chi ha tra i 18 e i 22 anni), la «Generazione Y» (tra i 23 e i 38 anni) e la «Generazione X» (tra i 39 e i 54 anni).
Partiamo da un dato in parte consolatorio.
In Italia, in tutte e tre le fasce d'età, l'interesse alla lettura delle news online è decisamente superiore rispetto a quella registrata negli Stati Uniti o in Gran Bretagna. Come sottolinea Fabrizio Angelini, a capo della ricerca, «sussistono però forti differenze a livello generazionale». Precisamente: il 59% dei giovanissimi (18-22 anni) dichiara di leggere news online «solo quando ne ha bisogno» mentre la stessa percentuale di appartenenti alla generazione Y (23-38 anni) si considera «assidua lettrice di notizie»; dato che cresce al 66% nella generazione X (39-54 anni).
Nella fascia 18-22 anni, in Italia, uno su tre sostiene di leggere le notizie «malvolentieri» e uno su cinque trova «stressante la lettura delle news». Più l'età cresce e più diminuiscono un po' fastidio e stress, ma le percentuali restano alte: nella fascia 23-38 anni il 26,8% legge notizie malvolentieri e il 17,1% lo trova stressante. Percentuale che nella fascia 39-54 anni cala come «fastidio» al 21,2% e come «stress» al 13,2%.
Una differenza significativa che emerge dalla ricerca è il diverso utilizzo delle fonti di news digitali: «mentre le generazioni più adulte dichiarano di ricorrere prevalentemente ai siti di news, i social network rappresentano la fonte informativa primaria per i più giovani».
Nel dettaglio: il 50% della Generazione X (39-54 anni) si informa sui siti d'informazione (il 25% lo fa sui social e il 19% sui portali generalisti); anche il 50% degli appartenenti alla Generazione Y, (23-38 anni) si informa sui siti d'informazione, ma il peso dei social sale al 31% mentre quello dei portali generalisti scende al 16%. Completamente diverse le scelte per la Generazione Z (18-22 anni): il 43% si informa sui social e il 35% sui siti d'informazione.
C'è un altro dato, non meno importante. «Quando cercano un'informazione importante, per tutte e tre le generazioni i siti degli editori continuano ad essere la destinazione privilegiata». Emerge anche una trasversale e generale maggiore fiducia «in termini di onestà e accuratezza delle informazioni nei siti di news rispetto ai portali, alle notizie che appaiono sui telefoni cellulari e ai social network». Le notizie locali sono quelle che registrano, in tutte le generazioni, «i più alti tassi di fiducia in termini di onestà e accuratezza, seguite da quelle di natura internazionale e infine da quelle nazionali».
Tra le note dolenti che emergono dallo studio c'è la conferma del fatto che l'80% e oltre di tutte le generazioni (in Italia come all'estero) non fa caso alla fonte, ma clicca sulla prima notizia che trova e non sente il bisogno «di altre verifiche o altre letture di confronto».
Pochissimi sono disposti a pagare per legggere notizie
Nonostante l'informazione resti un valore, la percentuale di chi è sarebbe disposto a pagare per leggere le notizie è marginale. Tra gli under 22 solo il 7% si dice disposto a pagare per informarsi. Percentuale che sale al 10% nella fascia 23-38 anni e al 12% in quella 39-54 anni.
Ecco un altro punto sul quale riflettere. Nonostante i social abbiamo un ruolo importante e per i più giovani addirittura primario per la lettura di notizie «sono relativamente pochi coloro che condividono post con notizie». Nella fascia 18-22 anni lo fa solo il 18%, in quella tra i 23 e i 38 anni il 32% e in quella 39-54 anni il 30%. Quando hanno chiesto ai ragazzi perché loro che più di tutti si informano sui social, condividono così poche notizie, la risposta è stata illuminante. Condividono poche notizie perché temono le discussioni aggressive soprattutto sui temi «sensibili» e il relativo impatto sulle loro «identità digitali». In pratica: non condividono notizie perché ormai troppi le usano come pretesto per litigare e aggredire, e per bollare gli altri come «nemici».