Coincidenze di ferocia e di speranza. Che ci scuotano
Caro Marco Tarquinio,
la Pasqua cristiana di quest’anno si festeggia per la prima volta negli ultimi dieci anni all’interno della settimana della Pasqua ebraica, ed entrambe cadono durante il mese sacro per i musulmani, il Ramadan. Comunque la si pensi e si creda, questa coincidenza ci propone un ragionamento palesemente legato alle guerre che tutti noi conosciamo ormai da troppo tempo. Evito di declinare la coincidenza tra le diverse Pasque, ma a me ne appare chiara la dimensione trascendentale. La coincidenza di Tempo, Spazio e Speranza di Pace. Mi chiedo: che cosa continuano a dirci i Vangeli? E che senso riusciamo a cogliere della diretta antenata della Pasqua cristiana, cioè la Pasqua ebraica che celebra la liberazione degli ebrei dalla schiavitù in Egitto. Il nome viene dalla tradizione biblica messo in rapporto con il verbo pâsa «passare oltre», a commemorazione del «passare oltre» del Dio d’Israele, che nella notte in cui primogeniti del popolo oppressore furono sterminati e quelli del popolo oppresso risparmiati.
La risurrezione di Gesù è, come i credenti in Lui sanno, l’evento centrale della narrazione dei Vangeli e dell’intero Nuovo Testamento: il terzo giorno dalla sua morte per crocifissione Gesù risorse lasciando il sepolcro vuoto, e apparve inizialmente ad alcune fedeli e in un secondo momento anche ad altri apostoli e discepoli. Il Vangelo di Matteo, per esempio, lo racconta così: « Dopo il sabato, verso l’alba del primo giorno della settimana, Maria Maddalena e l’altra Maria andarono a vedere il sepolcro. Ed ecco si fece un gran terremoto; perché un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e vi sedette sopra. Il suo aspetto era come di folgore e la sua veste bianca come neve. E, per lo spavento che ne ebbero, le guardie tremarono e rimasero come morte. Ma l’angelo si rivolse alle donne e disse: “Voi, non temete; perché io so che cercate Gesú, che è stato crocifisso. Egli non è qui, perché è risuscitato come aveva detto; venite a vedere il luogo dove giaceva. E andate presto a dire ai suoi discepoli: ‘Egli è risuscitato dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete’. Ecco, ve l’ho detto”. E quelle se ne andarono in fretta dal sepolcro con spavento e grande gioia e corsero ad annunziarlo ai suoi discepoli. Quand’ecco, Gesú si fece loro incontro, dicendo: “Vi saluto!” Ed esse, avvicinatesi, gli strinsero i piedi e l’adorarono. Allora Gesú disse loro: “Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea; là mi vedranno”».
La coincidenza delle diverse Pasque e le diverse guerre mi suggerisce un pensiero: è forse Gesù l’artefice della Coincidenza? Sarà Lui a portarci alla pace? Un miracolo che l’umanità vivrà in ogni propria civiltà e religione. È forse un sogno? Sì, lo è! Ma i sogni servono a vivere la trascendenza. Il “luogo” del cielo là dove le stelle brillano e ci accompagnano alla pace! Io ci credo.
Gentile Marco Tarquinio, da un po’ di tempo sto rileggendo, anche in cerca di un po’ di consolazione e di speranza, le lettere che san Giovanni Paolo II scrisse per tutti i cristiani, ma in particolar modo per i popoli dell’Europa orientale, essendo il primo Papa di origine slava nella storia della Chiesa. Cito, tra le tante, tre indicazioni (o riflessioni o preghiere). «È indispensabile risalire al passato per comprendere, alla sua luce, la realtà attuale e presagire il futuro. La missione della Chiesa è, infatti, sempre orientata e protesa con indefettibile speranza verso il futuro… » ( Slavorum Apostoli, 1985, cap. 31). «Mille anni da Dio Onnipotente, Sovrano dell’universo e Signore della storia di tutti i popoli, abbracciò con il suo amore infinito il popolo della Rus’ di Kiev e lo condusse alla luce del Vangelo del Suo Figlio Gesù Cisto, salvatore del mondo» ( Magnum baptismi donum, 1988, cap. 1). « È vocazione dell’Europa, nata su fondamenti cristiani, una particolare sollecitudine per la pace nel mondo intero » ( Euntes in mundum, 1988 cap.12). «Noi abbiamo privato il mondo di una testimonianza comune che, forse, avrebbe potuto evitare tanti drammi se non addirittura cambiare il senso della storia (...) Quando, in occasione del Venerdì Santo 1994 (...) il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I fece dono alla Chiesa di Roma della sua meditazione sulla Via della Croce, ha voluto ricordare questa comunione nella recente esperienza del martirio: noi siamo uniti in questi martiri fra Roma, la Montagna delle Croci, le Isole Solovieskj e tanti altri campi di sterminio. Noi siamo uniti sullo sfondo dei martiri: non possiamo non essere uniti» ( Orientale lumen, 1995 cap. 28 e 19). Queste lettere apostoliche contengono ovviamente molto altro ma, guardando a quello che sta oggi accadendo anche in quelle terre – eredi dell’apostolato dei santi Cirillo e Metodio –, si è presi da un cocente sconforto: sembra che tutto vada storto. Forse non abbiamo venerato abbastanza e assieme i nostri comuni santi e martiri. Se non ne siamo capaci, come possiamo, onestamente e con speranza, annunciare che Cristo «è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro della separazione che era frammesso, cioè l’inimicizia?» (Ef 2, 14). Forse, a questo punto (come auspicato alla fine dell’Orientale lumen), cosa fare ce lo farà capire Dio, ma rimane la sensazione che con l’intercessione dei santi e dei martiri la “lezione” sarà meno dura. Cordiali saluti, caro Tarquinio, e con l’aiuto di Dio e dei suoi amici (e amiche!) a tutti buona Pasqua 2024.
Abbiano bisogno di speranza e di resurrezione. Dio solo sa quanto, ma anche noi cominciamo ad averne idea nella notte che ci circonda. Notte di coincidenze di ferocia. Notte di guerra moltiplicata e ostentata, notte di abuso, di commercio e di distruzione della nostra umanità e delle risorse dei nostri figli e delle nostre figlie, di rapace messa a soqquadro della casa comune, il pianeta «che ci precede e ci è stato dato». «Notte triste» nella quale, come cantava Giuseppe Ungaretti, possiamo però imparare a «vedere chiaro». E ad agire di conseguenza.
Ben venga, perciò, la Pasqua, fonte e fondamento della speranza cristiana. E ben vengano le coincidenze di speranza. Anche se all’appello mancano i fratelli ortodossi, che quest’anno celebreranno la Pasqua molto più in là, il 5 maggio, (queste Chiese seguono ancora l’antico calendario giuliano e non quello di uso generale, introdotto nel 1582 da papa Gregorio XIII). E anche la non-coincidenza è parlante, perché sottolinea una divisione e una distanza che prima del terribile riaccendersi del conflitto russo-ucraino si meditava di annullare, facendo coincidere, appunto, di nuovo per tutti i cristiani almeno il Natale di Cristo e la Pasqua di Resurrezione... Ma ben venga sempre la Pasqua e, insieme, ben vengano le altre e alte coincidenze: la Pesach e il Ramadan, la solennità religiosa cara agli ebrei e il tempo spirituale condiviso dai musulmani. Tutte insieme, senza sintesi improprie, aiutano ad aprire gli occhi, a tener deste le coscienze, ad animare l’impegno che è comune a tanti credenti e a tanti non credenti per disarmare le parole e le mani e lavorare per la pace, che non è soltanto assenza di guerra, ma della guerra è sempre l’esatto contrario, qualsiasi storia storta i potenti della terra (politici, economici e mediatici) abbiano deciso di fare, riprendendo a raccontarla e a cercare di dimostrarla come l’unica possibile, necessaria e perciò “giusta”. Ben venga davvero la Pasqua, e ben coincida. Perché troppo – come ragiona l’amico Fabio Sonzogni – stanno già coincidendo le guerre e i calcoli e gli affari che in diverso modo (non solo convenzionale, ma sempre distruttivo) le scatenano, le accompagnano e le alimentano. E senza una mobilitazione dell’anima e dell’intelligenza, che si faccia stile di vita personale e interpersonale e movimento civile e politico, il rischio dell’apocalisse, già insopportabile, e il sacrificio di popoli e comunità, già perpetrato, minacciano di saldarsi. Dicono che è così che siamo tornati a scannarci con violenza primonovecentesca: perché bisogna essere “giusti”. Ma non c’è mai giustizia nella guerra.
Dio ci scampi da questa terribile (in)giustizia e faccia «passare oltre» ( pâsa) questo letale «calice amaro ». Ci pensi Lui a darci le parole e la forza disarmante che serve, perché gli Stati sembrano non esserne capaci e gli uomini e le donne che qui e ora hanno il potere di incidere sul corso degli eventi continuano a fuggire dalle proprie più vere responsabilità. Dio ci aiuti, perché anche noi possiamo aiutarci a vicenda.
Una fraternità in atto che comincia da quella che san Giovanni Paolo II definiva splendidamente la speciale «vocazione per la pace nel mondo intero» di noi europei. Sono grato a Matteo Parodi che, con la sua bella riflessione, mi spinge a ripeterlo ancora una volta. Noi europei siamo ormai meno di un decimo dell’umanità (all’inizio del Novecento ne eravamo circa un quarto), ma abbiamo una responsabilità grande, grandissima perché siamo custodi e protagonisti dell’unico pezzo di mondo che dalla metà del secolo scorso sino a oggi – mi verrebbe da dire, ahinoi, con amarezza “sino a ieri” – grazie a scelte politiche faticose, incomplete ma dal primo inizio lucide e lungimiranti, ha saputo spezzare la spirale infinita dei conflitti nazionalistici e mitigare con scelte all’insegna di una socialità inclusiva l’affermarsi trionfale del mercato capitalistico. È una «vocazione » la nostra – per usare l’espressione di papa Wojtyla, cara anche a me – che oggi appare in crisi o addirittura capovolta e rischia di trasformarsi in una grande chiamata alle armi e nella sacralizzazione dei confini da mettere di nuovo, come un tempo, sempre e comunque prima delle persone. È perciò urgente sostenere, motivare di nuovo e incarnare quella generosa «vocazione per la pace». La preghiera a Dio e l’esempio compreso e interiorizzato dei santi e martiri d’Europa sono strumenti preziosi su questa via, e noi sappiamo che hanno nutrito e accompagnato nel secondo dopoguerra novecentesco le decisioni dei padri fondatori della realtà che oggi chiamiamo Unione Europea. Così come sappiamo che la condivisione di valori e di obiettivi e la collaborazione fattiva con coloro che, anche qui sin dal primo inizio, sono stati via via portatori di visioni più laiche o diversamente religiose ha rappresentato e rappresenta una ricchezza. Da qui si deve e si può ricominciare.
Noi cristiani confidiamo nella forza liberante del Risorto, sappiamo che questo è l’evento che cambia la storia. E lo scandalo desolante ed esemplare della guerra nell’Europa orientale sta anche nella cristiana benedizione da parte di alcuni delle bandiere di battaglia che si ripete e si ripete ancora, da una parte e dall’altra, al servizio della «follia della guerra» che papa Francesco è tornato a denunciare nelle sue meditazioni per la Via Crucis del Venerdì Santo e che certo in questa domenica pasquale tornerà a scandire urbi et orbi, parlando da Roma al mondo intero. Che la Pasqua 2024, anche con le sue consolanti coincidenze ebraiche e musulmane, ci scuota e faccia rotolar via la pietra dell’egoismo, della violenza e della guerra. Auguri a tutte e a tutti.