È domenica mattina, c'è vento, molto. Il traffico in strada è scarso e in casa mi arriva dal viale il fruscio delle foglie spazzate, il suono di una bottiglia che rotola. Scosto la tenda e guardo fuori dalla finestra. Lo faccio abbastanza spesso durante la giornata, ma oggi mi ha spinto qualcosa che non so spiegare, e che non è solo il vento. Lo capisco vedendo altre facce alle finestre dei palazzi di fronte. All'incrocio, anche se non si sono sentiti schianti né sirene, si è accalcato un gruppo di persone, altri si stanno aggiungendo, le mamme che sono accorse dalle panchine attorno allo scivolo adesso coprono gli occhi dei figli con la mano. Da una delle finestre alte, sulla destra, una ragazza urla a quelli che passano sul marciapiede, «con la stessa andatura composta e tranquilla di chi usciva per la passeggiata domenicale in qualche altro secolo, meno violento del nostro». C'è una scena analoga in una poesia di Simic, intitolata Allarme, che ho letto pochi giorni fa. Mi colpisce la coincidenza con quei versi, dove chi come me guarda, e si angoscia, senza poter darsi conto, convive con quelli che a pochi metri camminano indifferenti. Ma il nostro stato di allarme è casuale e intermittente, forse anche per questo proviamo a fissare i sentimenti, i fatti, il tempo in un racconto, in un disegno, consapevoli che «tutto è verità e passaggio».