L'avevano bollato come un pazzo stravagante, Rino Gaetano. Un artista demenziale: che cantava testi talmente surreali da sembrare privi di senso. Quando poi si presentò a Sanremo, cilindro in testa e frac sopra la canottiera, a cantare la sua strampalata "Gianna" tutti rincararono la dose: un bizzarro mattacchione. Sintesi apparentemente definitiva. Invece era un poeta dell'anima. Uno che mischiando significati reconditi e parole taglienti come lame sapeva cantare d'amore, di dolore, di morte… Della vita. Come in questa canzone nascosta del 1976, impastata di sofferenza ed emigrazione, fra le righe la violenza del potere e in primo piano un amore infinito. Amore per una donna e per la gente; per una persona e per l'Italia. «Cogli la mia rosa d'amore: regala il suo profumo alla gente, cogli la mia rosa di niente… Cogli suo figlio in Germania, la miniera, il carbone, "A Natale verrà"… Cogli i muri bianchi di calce, la festa del Santo, il giorno del pianto… Cogli la mia sera d'aprile, scrivevo parole, faceva l'amore… Lasciale almeno i ricordi, le loro mani nel chiedere e amore nel dare… Cogli il suo giorno di festa, quando l'estate promette di tutto; e quando ti mantiene un sorriso, cogli questo suo paradiso…».