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Claudio Ranieri Il calcio ha il suo Nobel per la gentilezza

Massimiliano Castellani sabato 4 novembre 2023
«Se il mondo assomiglia a te, non siamo in pericolo», cantano da mezzo secolo in qua i cari vecchi Pooh. Messaggio che potremmo rileggere così: se il mondo del calcio assomigliasse a Claudio Ranieri non saremmo mai in pericolo. Papa Francesco, ha appena confessato al direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci, che tra Maradona e Messi lui preferisce Pelè. E ha argomentato da par suo, il tifoso tessera n.1 del San Lorenzo de Almagro. Personalmente, mi perdoni Santità, io scelgo sempre quel genio maledetto de “El Diego”. Maradona. E se si va per panchine,
allora tra Guardiola, Klopp e Ancelotti, i tre maggiori esponenti della categoria dei mister, allora il mio preferito illo tempore è proprio lui, l’antidivo Claudio. Il sor Claudio da Testaccio, diventato “sir” sui campi della Premier - con tanto di semifissa dimora a Londra – è, per vox populi, prima di tutto «un gran signore». Un uomo mite, pacato, capace, in un mondo di professionisti dello sgomitamento e dell’invettiva, di mettere in cima alla scala valoriale il rispetto e la lealtà. Un maestro di fairplay da studiare nelle scuole calcio. Un monumento vivente per il popolo di Leicester, dove quella prima Premier vinta
nel 2016 è paragonabile solo allo storico scudetto del Cagliari del ‘70. A 72 anni Ranieri è ripartito da Cagliari, lì dove ebbe inizio la sua scalata da tecnico: nel triennio 1988-’91 portò i sardi dalla C1 alle Serie A. La passata stagione subentra a gennaio e vince in corsa un campionato di B. Nella finale spareggio con il Bari davanti a un San Nicola colmo di 60mila tifosi pugliesi delusi e sconfitti, chiede, andando sotto la Curva dei supporters sardi, di tributare un applauso al Bari e ai baresi e di interrompere i cori oltraggiosi. Missione compiuta pure quella. A Cagliari lo ascoltano come un profeta, lo considerano uno di loro, si fidano ciecamente di Ranieri. All’ennesima sconfitta nessuno si è permesso di metterlo in discussione, e lui, elegante, nel suo completo blu, non si è scomposto neppure quando domenica scorsa il suo Cagliari è andato in apnea: parziale di 0-3 in favore del Frosinone. I suoi calciatori questa calma serafica e l’occhio vigile e paterno che strizza dalla panchina - sempre pronto a spronarli -
l’hanno avvertita e hanno tirato fuori una prestazione degna di quell’epico Italia-Germania 4-3. Cagliari-Frosinone è finita così, come la sfida più lunga del secolo scorso al Mondiale di Messico ’70, in cui il mattatore fu la grande anima del Cagliari dello scudetto: il genius loci “Rombo di tuono”, Gigi Riva. Claudio Ranieri è il Gigi Riva della panchina. Una mosca bianca, vince contro il Frosinone e va ad abbracciare il suo collega Eusebio Di Francesco, quasi scusandosi per quello che è successo, come a dire: stavolta ho solo avuto più fortuna io o forse ho solo sbagliato meno di te. L’umiltà dei grandi, del detentore di tanti primati in campo, ma il riconoscimento che più lo rappresenta è quello che gli hanno conferito lo scorso giugno: il “Premio Gentilezza”. Il cor gentile di Ranieri è un piccolo segno di speranza che, magari, in un mondo di conflitti si possa ancora trovare un po’ di pace, restando umani. © riproduzione riservata