Citati e Calasso vedono dèi ovunque, ma il romanzo cerca l'«aspra verità»
Pochi lettori se ne rendono conto, pochi ci credono. Io mi sento a metà strada: vedo e non vedo. Non c'è attributo e potere di Apollo e di Ermes, Afrodite o Juppiter che non siano presenti nella realtà. Ma la letteratura moderna non è solo quella di Goethe e di Nabokov. I romanzieri hanno quasi sempre fatto a meno degli dèi. È più facile e più vero, credo, vederli come lettori della Bibbia e soprattutto dei Vangeli, a cominciare dai due più grandi realisti, Dostoevskij e Tolstoj. Nessuno dei due fantastica, tutti e due, come i loro maestri Stendhal e Balzac, vogliono anzitutto «l'aspra verità», oltre la quale, più vero ancora, c'è solo Cristo.
In poesia le cose possono andare diversamente. In poesia ogni mito è di casa, perché è di casa la nostalgia del mito. Ma il romanzo funziona meglio se muove creature viventi in una società da cui gli dèi sono fuggiti. Una soluzione intermedia la offre Auden, quando dice che ogni poeta, quindi anche lui, preferirebbe essere politeista, anche se è cristiano. Qui tutto sta (realisticamente) fra l'essere e il preferire, che nell'umana condizione quasi mai coincidono.