Avere trasferito la nostra memoria e le operazioni "meccaniche" che ogni giorno dobbiamo fare, come ogni agio, come ogni delega, ci ha reso la vita più facile e meno ricca di senso. Trasferito ovviamente ai software che operano al posto nostro, agiscono al posto nostro ma soprattutto ricordano e pensano al posto nostro. Quelle operazioni basiche di matematica elementare, che a scuola chiamavamo "conticini" e che per secoli abbiamo imparato a svolgere a mente con estrema rapidità oggi diventano complessissime equazioni a cui solo l'applicazione "calcolatrice" del telefono o del tablet o del computer può dare una risposta. "Tre per sette per undici?" a quindici anni ero in grado di risolvere il quesito in pochi istanti. Oggi no. E la memoria? Nel cocktail letale con l'overdose d'informazioni "spam" (per rimanere nel lessico appropriato), la memoria sbanda, s'accartoccia, in un continuo, monco, memore della letteratura (volutamente) mutila di Samuel Beckett. E ci spinge sempre più a paradossali conversazioni interrotte da: "Ma cosa stavo dicendo?". E le mal digerite pagine di Dante o di Virgilio o di Shakespeare mandate a memoria al liceo, mentre sfumano nell'indistinto reame dei dati, mi sembrano sempre più ancore a cui aggrapparsi, nel sogno residuo che le nostre protesi non siano loro, a guidarci.