A proposito del Natale, tutto questo patrimonio simbolico che è diventato cultura è stato, un giorno, culto. Quella che oggi è un’esaltazione fiabesca tendenzialmente non ben identificata è stata narrazione evangelica ben esplicita; lo spazio oggi concesso a Babbo Natale era dato un tempo al presepio; gli auguri tradotti in una grammatica civile ebbero dapprima un’espressione teologica definita; il ruolo propulsivo oggi esercitato dal commercio già fu svolto, in modo esclusivo, dalla religione. È impossibile non rilevare una riduzione, o una pretesa sostituzione. Nella misura in cui si secolarizzano, le società pretendono che la circolazione tra culto e cultura s’interrompa, come fosse cosa buona un’operazione di puro e semplice cancellamento delle origini. Si fa urgente sottoporre a un dibattito critico questa maniera di pensare. Se la cultura cancella la memoria del culto, si devitalizza, azzera qualcosa di antropologicamente decisivo. La cultura necessita di alleanze per rafforzarsi come contenitore dell’esperienza umana. Il caso dei simboli è paradigmatico. L’ampiezza della loro risonanza dipende da un rapporto matriciale che persiste. La cultura ha di che guadagnarci nel riconoscere il qualificato contributo umano offerto dal culto e nel mantenere una circolarità che ci aiuti tutti a plasmare cammini significativi verso quella che chiamiamo speranza.
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