Cinque autori per un teologo in cerca della speranza
La preferenza per Camus nel duello con Sartre sul rapporto fra intellettuali e potere, ma anche l'ammirazione per la terra promessa immaginata da Kafka e la condivisione della speranza raccontata sotto forma di martirio in Graham Greene e nella certezza della resurrezione da Péguy: non aveva certo timore reverenziale verso i grandi scrittori che affrontava, sia dal punto di vista del contenuto che dello stile, il teologo belga Charles Moeller, autore di un'opera gigantesca, in cinque volumi, edita in Italia da Vita e Pensiero negli anni Sessanta, Letteratura moderna e cristianesimo, di cui qui segnaliamo una recente antologia che porta lo stesso titolo (uscita da Bur/Rizzoli nel '95, collana Libri dello spirito cristiano, introduzione di Luca Doninelli). Quest'ultimo volume è dedicato ai cinque autori citati.
Per Moeller, il cui metodo di indagine ha la peculiarità di non separare mai l'uomo e lo scrittore, l'arte e la vita e al tempo stesso si riferisce all'opera di un autore come una realtà sempre viva (lo mette in luce bene Doninelli), Kafka esprime nei suoi scritti non solo il senso di disperazione e angoscia: il suo rifiuto del mondo inaccessibile rappresentato dal padre non lo conduce a una scelta di ribellione radicale alla maniera di Nietzsche. «Kafka ha creduto nell'amore, nonostante i suoi dolori, vi ha creduto per gli altri, essendone escluso» e ha optato per «una speranza ridiventata umile, per cui soffrendo la più terribile prigionia provata mai da un ebreo dell'Europa centrale, egli preferisce accusare se stesso, piuttosto che disperare per il mondo e maledire l'universo». È un agnosticismo umile la posizione preminente di Kafka, espressa al meglio dalla sua frase «Noi viviamo come se fossimo i soli padroni. E questo fa di noi dei mendicanti». Se tutti i suoi protagonisti sono colpevoli senza sapere perché e sempre destinati alla condanna, nell'incontro fra Bürger e K. nel Castello c'è come un baluginio, la possibilità di una parola ulteriore, la presenza di un mondo nascosto dietro una rete di proibizioni ma che si profila in silenzio, «fessura impercettibile» che si può aprire. Moeller insomma va oltre l'esegesi puramente religiosa di Kafka che alcuni hanno ipotizzato, ma non condivide anche la posizione di chi ha intravisto nella sua opera esclusivamente un disegno satirico (che pure esiste) nei confronti di una società moloch: la sua è una lettura drammatica che lascia un pertugio alla speranza.
Speranza ed umiltà che si ritrovano in Graham Greene, il grande scrittore cattolico inglese che fa compiere atti di salvezza ai suoi personaggi anche se sono dei poveri diavoli. Come il prete del romanzo Il potere e la gloria, peccatore incallito che realizza tre gesti di carità perfetta che lo riscattano agli occhi di Dio e degli uomini. Anche Scobie, suicida per non far soffrire le due donne che ama in Il nocciolo della questione, per Moeller alla fine è salvo e non dannato. «L'opera di Greene – commenta lo studioso – altro non è che un commento alla parola divina: non giudicate». E se Péguy attraversa un cammino che va dall'impegno sociale alla disperazione alla ritrovata speranza, sviluppando in una direzione mistica il pensiero del suo maestro Bergson, Camus prova a vincere la sfida di un mondo assurdo con l'onestà e lo sforzo dell'uomo che non accetta di subire il male senza reagire. «Come vivere senza la grazia è il problema che domina il XX secolo», scrive nel saggio L'uomo in rivolta: per Moeller il segno che lo scrittore francese, come i personaggi del romanzo La peste Rieux e Tarrou, vogliono realizzare il bene facendosi medici del mondo per curarne le ferite.
Lo stesso suo rivale Sartre, per quanto intrappolato dall'ideologia a differenza di Camus, ha avuto il merito nel suo ateismo radicale di combattere «l'ipocrisia della coscienza mistificata delle classi borghesi» e nella sua vita ha dato prova di generosità verso amici e non solo: «In un campo di prigionia – scrive Moeller – ha composto una laude natalizia da recitare in una baracca; lo ha fatto per un gesuita prigioniero come lui, e non ha esitato a rischiare la sua vita per evitare delle noie gravi a un altro sacerdote compagno di campo».