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Ci vuole il sorriso

Eraldo Affinati venerdì 5 maggio 2023
Stoccolma è un gioiello prezioso nel cassetto blindato dell’insenatura. La scienza di palazzi illuminati dentro la lunga notte nordica scandisce il suo ordine severo in un mare di ponti sopraelevati, cavalcavia e impalcature, strisce pedonali che assomigliano a frecce verso il cielo, scatole di case color grigio ferro, come una nota di jazz tenuta fino all’ultimo sul falsopiano del Djurgarden. I vichinghi si contesero questo splendido arcipelago e le tribù vincitrici diedero ai loro successori il predominio del porto naturale. Oggi nei caffè informatici della giovane Svezia cablata si percepisce il vuoto. Lo stesso che filtra negli occhi dell’autoritratto di Rembrandt giovane conservato alla National Gallery: fulvo, coi lineamenti grossi, gli occhi inquieti, ansiosi, consapevoli di chissà quali incombenti minacce. Per toccare l’invisibile nodo bisogna andare a Hjulsta, quartiere multietnico, che si raggiunge con la metropolitana blu T10. Già nei vagoni sembra di essere a Mogadiscio, non in Scandinavia. A Rinkeby la sensazione si rafforza. Qui c’è tutto: scuole, biblioteche, presidi sanitari, impianti sportivi. Gli immigrati sono inseriti nella società che li ospita. Ma restano corpi estranei.
Bisogna superare i ghetti dorati. Non basta dare il servizio. Ci vuole il sorriso. © riproduzione riservata