Ventura ha abbandonato il Chievo. Se n'è tornato in qualche buen retiro imprudentemente lasciato per tentare una nuova avventura. Per lasciare almeno un gesto rimarchevole anche in futuro si è dimesso. Rinunciando - si dice - alla moneta. Come fece - e ancor ve n'è memoria - nel 1992 Corrado Orrico, uno degli 82 allenatori dell'Inter in 110 anni. Orrico ebbe un'impennata d'orgoglio che lo portò a una scelta autolesionista. Fu salutato con simpatia. Ventura no. Sentite il saluto di capitan Pellissier: «Chi ama questa squadra non la può abbandonare solamente perché le cose vanno male, non è così che si fa, non fate come Ventura, si vince e si perde insieme come deve essere in una squadra. Mai mollare fino alla fine». Ed è la parte più dolce dell'addio. E adesso, con parole compassionevoli oltre il merito, molti si chiedono: «Chi gliel'ha fatto fare?». Non a lasciare ma a prendere il Chievo. «Voglia di rinascita» - parola di psicologi frettolosi. «Presunzione» - sospetto di conoscenti maliziosi. «Ingaggio»- volgarità di nemici. «Così impara» - parola di Tavecchio - «Una cena con Campedelli» - dico io, e aggiungo: pasta e fasoi, fritole, risotto all'Amarone, Amarone medesimo in goti, pandoro Paluani meglio subito. E il fascino di una proposta che con l'aria che tira da un anno a questa parte il Gian Piero proprio non se l'aspettava. Forse ha anche sottovalutato le sue colpe. Tavecchio se n'è andato in buon ordine, colpevole solo di aver sbagliato allenatore quando i politicamente corretti hanno tolto il tutore - Lippi - a Ventura. Se dovevano essere in due vuol dire che uno non bastava. Ma questo è un ragionamento da sempliciotti come me. Aggiungo che al Gian Piero è mancata anche la virtù maggiormente apprezzata da Napoleone nei suoi generali: la fortuna. Che l'ha abbandonato per dissociarsi dal narcisismo tattico del ct (sfida alla Spagna in pompa magna) che gli ha anche consigliato la scelta finale di rinunciare a Insigne, l'unico vero campiine in circolazione azzurra. Eppoi, come non capire che la sciagurata cacciata dal Mondiale russo sarebbe stata aggiunta - con doppio pubblico ludibrio - a Belfast '58. Allora (io c'ero) la storica invettiva di Giulio Onesti contro i presidenti «ricchi scemi» costituì un alibi perfetto per Alfredo Foni, il ct sconfitto che in realtà viene ancora ricordato per le sue bufale dai giocatori di quel tempo, come Gino Pivatelli, ma trovò ben sette ulteriori ingaggi con tanta fantasia e una bella faccia tosta. Ventura sará ricordato come l'Uomo Immagine di questo calcio depotenziato dagli eccessi esotici ( tradurre con parole acconce la sciagurata sortita di Tavecchio su «Optì Pobà») e di denaro, il primo demolitore degli antichi eroi pedatori. Belfast '58 sarà dimenticata, si ricorderà Milano 2017, non per l'Expo ma per il Flop. Musica contemporanea. Chievo resisterà e gli asini - quelli veri, resistenti alla fatica e alle umiliazioni - torneranno a volare.