«Caelum, non animam mutant qui trans mare currunt»: chi parte per mare cambia cielo, non la propria anima. Memorabile verità sancita da Orazio. Non s'inganni il lettore pensando che il poeta latino, cantore di un fertile ozio lontano dagli affanni dell' Urbe, esprima qui una visione prudente della vita, timorosa dell'avventura e del viaggio. No, le parole, con l'incisività unica della lingua latina, non denunciano il viaggio per mare, lo spostamento, l'avventura, ma la superficialità di chi parte allo scopo di fuggire da una situazione dolorosa. Diffuso, ai tempi di Orazio, fino a diventare letterario, il tema dell'uomo che, deluso dall'amata, salpa all'alba dalle rive romane verso un'isola lontana, a cercare pace al cuore sconvolto. Nei secoli questa figura di chi salpa per fuggire da se stesso assumerà forme molteplici ma non si estinguerà, fino al nomadismo fine a se stesso della Beat generation, dove la fuga percorre anche rotte psichedeliche. Ogni trasformazione avviene nello spazio interiore, e solo così un cielo diverso non sarà semplicemente tale ma anche nuovo. Non dimentichiamo un altro verso celebre di Orazio: «Carpe diem». Che non significa furbescamente «vivi alla giornata», ma «cogli l'attimo fuggente». Vivi l'istante. Allora, se riempi di vita ogni istante, ha inizio l'avventura, allora puoi salpare e viaggiare per mare.