In settimana Tesla ha visto crescere il proprio valore di Borsa di quasi un terzo, arrivando a toccare i mille miliardi di dollari. Una capitalizzazione che non si vedeva da aprile 2022, prima che il suo proprietario Elon Musk si lanciasse nell’acquisto di Twitter. Il visionario e discusso genio della tecnologia è vicinissimo a Donald Trump, e visto il suo trionfo elettorale i mercati si aspettano una stagione di fortune sia per Musk che per la sua creatura più nota, Tesla. È così che funzionano i mercati: al lunedì un’azienda vale 750 miliardi, cinque giorni dopo è sempre la stessa ma ne vale ne vale mille solo perché è cambiato il contesto che la circonda.
L’impennata di Tesla è solo un esempio della sorpresa con cui i mercati hanno accolto l’esito delle presidenziali americane, atteso circa il vincitore ma probabilmente non nelle proporzioni. Gli investitori, ormai sempre più spesso guidati dall’intelligenza artificiale e quindi da quanto accaduto in passato, si sono trovati molto più spiazzati del solito e hanno reagito sfoderando una serie di reazioni semi istintive, forse destinate a essere smentite nei fatti ma che aiutano a capire chi può aver vinto e perso con la vittoria di Trump. Simile a Tesla è il caso del bitcoin: il leader repubblicano e chi lo circonda guardano con interesse alle criptovalute, e quella per eccellenza – il bitcoin, appunto – ha toccato i suoi massimi storici, vicini agli 80mila dollari. Chissà quali conseguenze porterà il rinnovato interesse per la criptofinanza nel resto del mondo, compresa l’Italia, dove la manovra di bilancio puntava a introdurre una stretta fiscale già messa in discussione.
Più facile da capire il balzo del dollaro (+1% sull’euro, sempre più vicino alla parità): in nome dell’America First si preannuncia una nuova fase di dazi e chiusure, che renderanno la valuta americana sempre più preziosa. Lo stesso vale per le Borse, dove il voto ha aperto un solco tra le due sponde dell’Atlantico: Wall Street ai massimi a fine settimana, listini europei che in cinque sedute hanno accumulato un ribasso di oltre il 3%, con Milano e Parigi quasi al 4%. D’altronde tra i settori più a rischio c’è il lusso, destinato a finire nel mirino delle politiche protezionistiche preannunciate da Trump.
Tra vincitori e vinti merita un posto anche la Cina, attesa da un braccio di ferro verosimilmente più serrato di quello degli ultimi anni. L’economia asiatica già di suo non brilla da tempo, e i timori sulle evoluzioni future si moltiplicano: in settimana Pechino ha varato un nuovo pacchetto di stimoli fiscali da 1.400 miliardi di dollari, una cifra impressionante, che però non è bastata a ridare fiducia agli investitori. Tra i quali meritano un cenno i più disinvolti, i fondi hedge, quelli che speculano sugli andamenti di breve periodo di titoli o categorie: la vittoria di Trump ha fatto precipitare le azioni dei gruppi impegnati nella green economy, e in appena due giorni il crollo ha fatto guadagnare 1,2 miliardi, ha stimato il Financial Times, ai fondi che avevano “scommesso” su questo epilogo, che così hanno incassato sulle previsioni di una transizione ambientale molto più lenta e incerta.
Infine, un dato sull’Europa. Che sconta la vittoria di Trump ma anche le difficoltà di casa nostra. In particolare della Germania, alla vigilia di una tornata elettorale dagli esiti quanto mai incerti e con una crisi economica che non si vedeva da anni. Una tempesta perfetta in cui, ha fatto notare Il Sole 24 Ore, a pagare il conto è anche un titolo fino a ieri ritenuto inscalfibile perché considerato “a rischio zero”: è il bund, il titolo di Stato tedesco, su cui non a caso si misura lo spread (il differenziale) con quelli degli altri Paesi. In settimana il bund ha visto salire il suo rendimento, vicino al 2,4%, oltre quello dell’Irs, il tasso che le banche usano come riferimento per calcolare le rate dei mutui. Un segnale, niente di più. Ma in passato non era mai capitato, e se anche il Bund perde lo scettro di titolo più sicuro al mondo prepariamoci a un rimescolamento senza precedenti.
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