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CECILIA

Marina Corradi domenica 4 novembre 2018
«Scendeva dalla soglia d'uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna...» Nei pomeriggi di pioggia, mia madre ci leggeva pagine dei libri che le erano cari. I miserabili, I promessi sposi. Leggeva vivamente, e noi tre non perdevamo una parola. «Portava essa in collo - cominciava - una bambina di forse nov'anni, morta; ma tutta ben accomodata, co' capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l'avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere su un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sull'omero della madre, con un abbandono più forte del sonno». E quando, alla fine, la madre manzoniana esortava il monatto a tornare la sera per prendere lei e l'altra figlia, noi tre ammutoliti in un dolore, che ci sembrava di poter vedere.
Riprendevamo a giocare, e a litigare. Non però con mia sorella Lucetta: mansueta, silenziosa. Quattordicenne, a lei toccò il destino di Cecilia: quasi fosse stata, quella pagina, una profezia. La immagino, dato l'ultimo respiro, col capo reclinato sul petto di mia madre - «in un abbandono più forte del sonno».