Si fa presto a diventare comparsa. Prendete Carneade di Cirene, il filosofo del II secolo a.C. che gode di buona reputazione presso gli studiosi. Sono bastate quattro parole per relegarlo nell'angolo degli illustri sconosciuti o, meglio, delle comparse alle quali sia stato accidentalmente attribuito un nome. Succede nei Promessi Sposi, all'inizio del capitolo III, quando don Abbondio se ne esce con quella battuta proverbiale: «Carneade! Chi era costui?». L'esclamazione dovrebbe rivelare l'ignoranza di chi la pronuncia e invece si trasforma in interdetto nei confronti dello stesso Carneade. Il quale perde la sua dignità personale e viene ridotto a categoria. Ai carneadi non è neppure intestata una sindrome, come nel caso di Erostrato. Devono accontentarsi di essere rubricati tra i soggetti trascurabili, incapaci di influire sulla realtà nonostante i titoli altisonanti. Li riscatta, tra le righe, la geniale ironia di Manzoni. Al centro della riflessione del Carneade storico sta infatti la convinzione che sia impossibile emettere giudizi di verità e che occorra accontentarsi del probabile. Nel momento stesso in cui si consegna al dubbio, il buon don Abbondio diventa un po' carneade anche lui. E lo siamo sempre anche noi, ogni volta che ci gloriamo di disprezzare ciò che non conosciamo.