Mi sta bene quasi tutto (anzi quasi niente) di questo calcio maleducato che pretende di mondarsi da mille peccati d'ignoranza inventandosi nuovi stili, nuove formule, sarrismi, guardiolismi, ronaldismi. Il campionato non è mai stato un esemplare di bon ton ma fra razzisti, cialtroni e burini abbiamo raggiunto un livello di ultracafonal dagostiniano (che almeno usa far ridere e ironizzare) sconosciuto fin nel medioevo pallonaro. E qualcuno, giusto per spiegare una maglietta verde, parla di Rinascimento. Mi sta bene quasi tutto perché ho la fortuna di poter contestare il malfatto e il maldetto e allora posso sfogarmi e dire che ciò che sta accadendo a Carlo Ancelotti è una vergogna. Il sopraccigliato di Reggiolo, forse il tecnico più vincente in circolazione, il più moderato, direi l'antico signore di campagna benestante e benvivente fra uomini e animali della fattoria pallonara, è arrivato a Napoli spinto da tre motivazioni: giocarsi il prepensionamento con la squadra che meriterebbe lo scudetto e tuttavia lo perde da anni, conoscere il tifo più caloroso e fedele (ex ore suo) e provare la vita insolita della città che s'inventa ogni giorno la ragione di esistere. Non glien'è andata bene una. E oggi, piuttosto che insultarlo e pretenderne l'allontanamento, bisognerebbe ringraziarlo per la scelta generosa in attesa del bello che può ancora venire, purché non si lascino soli lui e la squadra. Quante volte avete registrato lo stizzito lamento dei napoletani contro i campioni che non vogliono trasferirsi a via Caracciolo o al Vomero, luoghi dati all'ospitalità dei pedatori in magioni e panorami d'alto bordo? Essi si dicevano disturbati da vergognosi pregiudizi che tuttavia nel tempo son diventati realtà. Cosa dire alla moglie e ai figli di Allan che si sono trovati ladri in casa, offese per strada e insulti sui social solo perché lui ha disubbidito a un ordine del presidente? D'ora in avanti i campioni, a Napoli, possono arrivare solo se scapoli, scafati e strapagati. Ancelotti non ci credeva. Eccolo servito. Vien voglia di dire “te l'avevo detto” ma la storia è un'altra. È una storia appassionata che rischia di finire come certi matrimoni d'amore rovinati dagli accordi economici. Il 22 maggio del 2018 - se ben ricordo - feci l'ultima telefonata a Carlo. -Come stai «Bene. Sto per partire...». -Ma ho letto che resti... «No, torno a casa...». - A Vancouver o a Reggiolo? - «In Canada». - Ciaociao... Al pomeriggio, radio, agenzie, tivù e popolo raccontavano il santo accordo fra Ancelotti e De Laurentiis che posavano da sfidanti con la pistola. Non ci siamo più parlati. Né lo chiamo ora, quando si parla di crisi e anzi la si raccomanda per togliersi dai piedi un santone del calcio che non fa più miracoli. È l'errore di un mondo incattivito che invece di incamerare con mille grazie la voglia di giocare, di vincere e crescere insieme in una città meravigliosa, si divide, si lacera per un nonnulla e subito dopo - per diversificarsi vieppiù dai napoletani d'antan - spegne il sorriso e attende l'ora della ineluttabile sconfitta. Se Ancelotti vuole, può vincere ancora. Napoli “n'est pas fini...”