Geremia è visto come un profeta di sventura, celebre per le sue lamentazioni e i suoi annunci di catastrofi. Già in vita gli veniva rimproverato questo pessimismo. Mentre Gerusalemme è minacciata da Babilonia, un altro profeta, Anania, annuncia in nome di Dio un’imminente vittoria sul nemico, che sarà seguita da prosperità e pace. Geremia vorrebbe solo crederci: «Così sia! Così faccia il Signore!». Ma resta prudente: «I profeti che furono prima di me e di te (…) profetizzarono guerra, fame e peste contro molti paesi e regni potenti. Il profeta invece che profetizza la pace sarà riconosciuto come profeta mandato veramente dal Signore soltanto quando la sua parola si realizzerà» (Ger 28,6-9). Bisogna quindi prendere in parola il profeta di sventura e accogliere l’ottimista con diffidenza?
Geremia non è ostile alle buone notizie, ma sa che la felicità non è mai priva di sofferenza. Di solito Dio non annuncia sventure ma la necessità di convertirsi. La felicità non cade dal cielo, o, se anche cade, bisogna che il nostro cuore sia in grado di riceverla: ciò implica che esso accetti di cambiare. Questo sforzo non è quello delle tecniche di sviluppo personale, dove la felicità risulterebbe da tutto un lavorio; è un cambiamento di vita, che rende l’uomo disponibile alla felicità che Dio vuole per lui.
© riproduzione riservata