Penso tra me e me, talvolta, al modo in cui ognuno reagisce alla vicinanza con i simboli del Natale; con quale trasporto o indifferenza, con quale allegro trambusto o sguardo distaccato vediamo venirci incontro questo arsenale simbolico; quali sentimenti confessabili o indicibili si dichiarino in noi e quale importanza effettiva noi diamo loro. I simboli non funzionano unicamente a fior di pelle, anche quando sembrano catturati da emozioni veloci, manipolabili o affievolite. I simboli vengono da più lontano, sono reconditi i loro processi, viaggiano per luoghi interni a molte braccia di profondità, sono il risultato di una lunga sedimentazione di esperienza e di senso. È sempre un impoverimento prenderli per meri elementi ornamentali che mascherano il loro (e il nostro) vuoto con l’artificiale tintinnare dell’effimero. Come pure è un errore circoscrivere il loro ambito di validità alla superficie e niente più. In questo tempo, per esempio, gli spazi domestici e quelli pubblici si affollano di raffigurazioni natalizie che potranno essere esteticamente più o meno riuscite, le vie s’illuminano di zigzaganti strisce luminose, vengono appese al cielo notturno stelle ben vicine e dalle geometrie incandescenti, ci si scambiano auguri, si formulano desideri ricchi di buone intenzioni, si va in cerca di presenti da fare. A che serve questo rituale? Perché ripeterlo? Sarebbe uno sperpero limitarsi a riprodurlo senza saperlo spiegare.
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