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Calcoli senza equilibrio dopo il taglio degli eletti

Stefano De Martis domenica 3 aprile 2022
Tra le riforme costituzionali che secondo gli accordi del governo giallo-rosso avrebbero dovuto accompagnare la riduzione del numero dei parlamentari, la proposta Fornaro (dal nome del primo firmatario e relatore) è quella che più direttamente è stata concepita per limitare alcuni potenziali effetti distorsivi del taglio di deputati e senatori. In origine la proposta interveniva sugli articoli 57 e 83 della Carta, modificando la base territoriale per l'elezione del Senato e il numero dei delegati regionali che prendono parte all'elezione del Presidente della Repubblica. In questo secondo caso l'obiettivo era quello di ridurre il numero dei rappresentanti delle Regioni per riequilibrare il loro peso relativo all'interno di un Parlamento in seduta comune a ranghi molto più ridotti che in precedenza. Già durante l'iter in Commissione, tuttavia, si è deciso di soprassedere a questa modifica perché riducendo il numero dei delegati – attualmente fissato in tre per ogni Regione, fatta eccezione per la Valle d'Aosta – diventava aritmeticamente impossibile assicurare la rappresentanza delle minoranze, come prescritto dal medesimo art. 83. Nella prossima elezione quirinalizia, dunque, a meno che non intervengano altre revisioni più o meno ampie, i delegati regionali esprimeranno circa il 10 per cento dei voti in luogo dell'attuale 6 per cento.
Eliminata anche una clausola transitoria superata dagli eventi, della proposta Fornaro è rimasto in campo un unico articolo, secondo cui «il Senato della Repubblica è eletto su base circoscrizionale» e non «a base regionale» come recita il primo comma dell'art. 57 nella formulazione vigente, pallido residuo del dibattito tra i costituenti intorno all'ipotesi di un Senato fortemente collegato alle Regioni. In concreto, significa soltanto che ogni Regione costituisce una circoscrizione elettorale e i voti espressi dagli elettori locali valgono nella ripartizione dei soli seggi spettanti a quella Regione. L'eliminazione di questo vincolo, nelle intenzioni dei proponenti, consentirebbe una maggiore flessibilità nella legislazione elettorale così da ridurre il più possibile le discrepanze rispetto al sistema della Camera – con il cronico problema di maggioranze diverse nei due rami del Parlamento – permettendo teoricamente di introdurre, per esempio, un premio di maggioranza nazionale anche al Senato, dopo che la Corte costituzionale ha bocciato i premi attribuiti su base regionale. La modifica potrebbe inoltre aprire la strada a un correttivo per gli effetti di compressione della rappresentanza provocati dal taglio dei parlamentari. Nelle Regioni più piccole, infatti, per il Senato scatterebbe una soglia di sbarramento implicita elevatissima. Il caso più eclatante è quello della Basilicata: passando da sette a tre senatori, anche un partito intorno al 15 per cento rischierebbe di non avere rappresentanti a Palazzo Madama. Con un enorme spreco di voti.
Nonostante un clima dialogante e i riconoscimenti alla correttezza del relatore, nei giorni scorsi la discussione generale nell'Aula di Montecitorio ha confermato però il dissenso del centrodestra già emerso in commissione. Il timore, in buona sintesi, è che la legge Fornaro possa diventare il cavallo di Troia per una riforma elettorale in senso proporzionale. E il suo cammino, almeno per ora, appare destinato a interrompersi.