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C’è una suora-ingegnera che “progetta” speranza

Antonella Mariani giovedì 25 gennaio 2024

Quando da bambina i racconti dei missionari di passaggio in parrocchia ti fanno sognare terre lontane, lingue e volti stranieri, vite povere da accompagnare, è inevitabile pensare che diventare suora e portare parole di speranza ai confini del mondo sia stato frutto di un disegno già scritto per te.

Così la vocazione per Maria Luisa Caruso, 57 anni, è iniziata molto presto, da quegli incontri all’oratorio di Erba, alla fine degli anni Settanta, ascoltando le storie di evangelizzazione di popoli lontani, e sognando di andare laggiù insieme al suo papà, a costruire case e villaggi per chi non aveva nulla. Ma sono serviti ancora molti anni prima che questa vocazione emergesse con la forza di una scelta di vita. Prima ci sono stati gli studi: intensi, tecnici, per prepararsi a ereditare il mestiere del papà, scomparso mentre lei preparava la tesi di laurea.

Suor Maria Luisa Caputo - .

Maria Luisa Caruso è una ingegnera civile strutturista e ha portato avanti per qualche anno l’impresa di costruzioni del padre, per poi approdare in uno studio di progettazione di Milano. Ma non bastava, non era tutto. Così Maria Luisa, sulla soglia del 30 anni, ha lasciato calcoli e progetti per intraprendere un cammino spirituale e di formazione che l’ha portata tra le Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret: il noviziato a Roma, i voti a Brescia, gli studi avanzati a Roma, e dopo 8 anni la chiamata a partire per la missione in Etiopia.

La vita di Maria Luisa Caruso si è ricomposta proprio lì in Africa, a 42 anni di età: la “suora-ingegnera”, che oggi coordina la Fondazione Thouret, a Shire nel Tigrai ha progettato e seguito la costruzione di una scuola alberghiera: all’inizio c’erano 5 iscritti, che in 3 anni sono diventati 120. Lì insieme alle suore della comunità si insegna informatica e sartoria e in un’ala si accolgono decine di ragazze delle regioni più povere. Ha poi ampliato un centro sanitario che offre cure a 300 pazienti al giorno e infine ha costruito una grande sala per la scuola materna. Oggi, tornata a Roma, ha il ruolo di coordinatrice della Fondazione Thouret, nata dieci anni fa: deve raccogliere le esigenze delle suore della Carità che vivono nelle 32 missioni in 4 continenti e sostenere i progetti di sviluppo.

«Sto imparando così a conoscere tante missioni e ho la gioia di scoprire nuovi mondi, studiarne la realtà e le problematiche e arrivare a ipotizzare un minimo di sviluppo. Perché tutto avvenga per il bene di quei popoli. La sfida è riuscire a capire il futuro. Non è sufficiente gestire un’emergenza o un’esigenza momentanea, dobbiamo mettere le basi per opere che abbiano le caratteristiche di cambiare il destino delle persone», dice ad Avvenire suor Maria Luisa. Per questo insieme ai collaboratori della Fondazione, quando possibile viaggia, visita le missioni, studia i progetti, li discute e li verifica. Le manca solo di mettere un mattone sopra un altro, per il resto non lascia nulla al caso. «Amiamo soprattutto investire nella formazione delle ragazze: borse di studio, centri di accoglienza, corsi professionali… ».

Suor Maria Luisa Caputo con una consorella - .

Lei conosce la sofferenza delle giovani, l’ha toccata con le sue mani nelle missioni in Paesi come il Camerun, il Sud Sudan, il Centrafrica, e poi in Asia, in Vietnam e in Laos… «A Sahr, in Ciad, abbiamo aperto il centro professionale “Jeanne Antide’” con corsi pratici rivolti ad adolescenti e ragazze non scolarizzate. Arrivano senza speranza dai villaggi più poveri, non sanno fare nulla. Da noi capiscono che hanno ancora una possibilità e le vedi fiorire sotto i tuoi occhi». Suor Maria Luisa ha un’altra passione, oltre all’ingegneria e alla missione: le rose. Quando arrivò in Tigrai, durante la costruzione della scuola iniziò a innestare un rametto in una bottiglia di plastica colma d’acqua. «C’era una donna, nella scuola, sola e poverissima. Le assegnavamo qualche lavoretto. Non sorrideva mai. Un giorno venne da me con una piantina di rosa. Era fiorita. Per la prima volta ha sorriso: aveva capito che era in grado di creare qualcosa da sé, dopo una vita trascorsa ad obbedire agli altri».

Una piccola cosa, ma è tutto. «Papa Francesco ci ha detto che siamo chiamati ad agire per essere il volto di Cristo e per incontrare il Suo volto. Ecco, io e le mie sorelle ci sentiamo chiamate a essere speranza e a donare speranza».