C’è davvero un «male oscuro» che stringe nella sua morsa i nostri ragazzi? Lo scrive nel titolo la “Stampa” (29/3), che dedica due pagine, firmate da Caterina Soffici e Giacomo Galeazzi, al disagio. Soffici prende le mosse da «un’agghiacciante inchiesta» del “Financial Times” sui «danni provocati dai social media sulla salute mentale degli adolescenti». Sommario davvero agghiacciante: «Usa, i suicidi nella fascia 10-19 anni sono aumentati del 45,5% dal 2010. I ricorsi alla psichiatria pediatrica sono in crescita del 48 per cento». C’è una parola che accomuna più articoli di più testate: «fuga». Il titolo del servizio di Galeazzi ricorda chi scappa dalla vita: «Hikikomori, in fuga dal mondo». Prende le mosse da un progetto del Gruppo Abele e da un’indagine del Cnr di Pisa su un fenomeno che i lettori di “Avvenire” conoscono bene, secondo cui sono 54mila i ragazzi italiani che si definiscono hikikomori, ossia autoreclusi nella loro stanza e 150mila quelli che hanno problemi di socialità. Milena Primavera, responsabile del progetto del Gruppo Abele, spiega così la fuga, o ritiro: «Nella maggior parte dei casi non è una “scelta” libera e consapevole, piuttosto una sorta di “resa”, di rinuncia ai rapporti umani (salvo quelli mediati dalla tecnologia). I giovani che si isolano tendono a non reggere lo sguardo del mondo su di sé. Faticano a sostenere le aspettative – reali o percepite – che gli adulti hanno nei loro confronti, sia a casa che a scuola». Ed ecco la grande fuga, come nella pagina di Sara Bernacchia sulla “Repubblica” (30/3), titolo: «La fuga dai licei ad anno in corso. “C’è troppa ansia, cambiamo scuola”». Denuncia il collettivo del liceo “Minghetti” di Bologna: «Stiamo tutti male, la maggior parte degli alunni qui è in cura dagli psicologi». Viola Giannoli chiede allo psicoterapeuta Alberto Pellai: «Che succede nelle scuole?». Risposta: «Se lo chiede ai ragazzi, hanno la percezione che il mondo adulto gli stia chiedendo moltissimo. Se si domanda agli adulti, dicono che i ragazzi sono più fragili davanti alle loro richieste». Sul “Corriere” (31/3), titolo: «La scuola dell’ansia», Massimo Gramellini conclude: «Non saprei come aiutare questi ragazzi a farsi una corazza più spessa, però sarebbe riduttivo derubricare le loro ansie a paturnie da viziati (...). Questi sono tempi nuovi, per i quali servono parole nuove».
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