C'è chi usa la Resistenza per dividere la Chiesa
La Resistenza, insomma, è una cosa seria. E aver visto che il termine è stato di recente scomodato dai soliti gruppuscoli che criticano qualunque cosa dica o faccia Papa Francesco, mi è sembrato un po' esagerato. Di più, del tutto fuori luogo. Nel mirino dei tradizionalisti c'è finito questa volta il Motu Proprio di Francesco Traditionis custodes, con il quale il Papa ha ulteriormente regolamentato l'uso della Messa in latino riformando in parte le precedenti disposizioni di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI (1988 e 2007), assegnando maggiori responsabilità ai vescovi diocesani. Un'offensiva scatenata, come al solito, sui social, e sempre come al solito senza un gran successo (basta andare su YouTube per rendersene conto), ma questa volta con l'uso di espressioni forti in gran numero, da «maligno ukaze» a «schiaffo ai suoi predecessori», e chiamando tutti, appunto, alla «resistenza» contro una decisione «che vuole cancellare la tradizione cattolica». Trattando, insomma, Francesco alla stregua di un crudele dittatore, che governa la Chiesa secondo il suo umore.
Le cose, ovviamente, non stanno così. E forse non varrebbe neppure la pena di occuparsi della cosa se non fosse per le mistificazioni che questi gruppi operano di continuo. Intanto, a proposito del Motu Proprio, non dicono che è stato preceduto da una consultazione di tutti i vescovi del mondo, ponendo loro nove domande sull'uso della Messa in latino nelle loro diocesi. E poi, soprattutto, nascondendo quanto scritto da Bergoglio nella lettera che ha accompagnato la pubblicazione del Motu Proprio. In cui ha spiegato che la «possibilità offerta da san Giovanni Paolo II e con magnanimità ancora maggiore da Benedetto XVI al fine di ricomporre l'unità del corpo ecclesiale nel rispetto delle varie sensibilità liturgiche è stata usata per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni... Al pari di Benedetto XVI, anch'io stigmatizzo che «in molti luoghi non si celebri in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura venga inteso come un'autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività...». Ma non di meno mi rattrista un uso strumentale del Missale Romanum del 1962, sempre di più caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l'affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la "vera Chiesa"». Sono queste le parole di un dittatore?