Buone pratiche: metti il migrante dietro al banco della gastronomia
È una tradizione che anch'io ho mantenuto e il mio panettone è quello della cooperativa Giotto; stamane, guardandolo, mi ha portato a pensare come il risultato di una cosa buona abbia ridato dignità a chi, inquilino nella casa di reclusione Due Palazzi di Padova, si è impegnato nel lavoro. L'uomo ha bisogno di un lavoro, qualunque esso sia, altrimenti i pensieri e le energie potrebbero incanalarsi verso qualcosa di non positivo. Ma perché il pensiero abbia la direzione giusta ci vuole qualcuno a innescare un rapporto.
In questi giorni il tema dei migranti è all'ordine del giorno e sembra che proprio su esso si giochi, anche un po' cinicamente, la campagna elettorale in corso. Si va dalla demagogia al populismo, dalla rabbia al finto buonismo che deve cercare di non urtare più di tanto il borghese che è in noi e vorrebbe dire «Basta: torniamo a farci i fatti nostri!», come se quello che succede nel mondo non ci interessi. Per capirci: chiedere se vogliamo i migranti è più o meno come chiedere se desideriamo le tasse. Potremmo anche dire che non vogliamo né l'uno né l'altro, ma la realtà è diversa.
Detto questo non si capisce, girando l'Italia, a cosa servano certi centri d'accoglienza monchi di un progetto. È veramente utile, umano, intelligente cacciare in una riserva qualsiasi, di un paese o di una città, gente che non sa che fare dalla mattina alla sera? Eppure pensa… Questo è ciò che vorremmo da una politica intelligente: conoscere un progetto di integrazione, i binari su cui si fonda, e vedere come diventa controllo da un lato e risorsa dall'altro. È un appello di gusto, perché l'esempio virtuoso esiste ed è stato imbastito proprio intorno a quel bene di cui tutti parlano in tivù e sui giornali: l'enogastronomia.
A Torino, l'ex villaggio olimpico del Moi è stato occupato nel tempo da un nugolo di migranti, a migliaia. Così a luglio Comune e Regione hanno coinvolto la Piazza dei Mestieri, opera sociale della città con ristorante, birrificio, pub e laboratorio di panificazione. 12 persone, di etnie diverse, hanno iniziato il progetto: due mesi di formazione per 100 ore, di cui 90 di laboratorio. Il risultato? Oggi 6 migranti sono impiegati nell'attività, gli altri hanno avuto vicissitudini diverse. Pubblico e privato hanno sperimentato che l'integrazione è vera se ha un processo di compimento, altrimenti rimane un problema irrisolto dato in pasto (nomen omen) alla demagogia urlante. Dunque chi, fra i candidati, dice qualcosa di meno superficiale e più interessante sul tema?