Accanto alle grandi sfide “esterne” – dalle pesanti ricadute della guerra in Ucraina alla dura competizione con la Cina, dalla transizione energetica alla questione migratoria – le istituzioni della Ue devono spesso misurarsi anche con insidiose minacce “interne”, innescate da comportamenti o abitudini dei suoi inquilini. In apparenza, sembrano questioni di rilievo minore o addirittura trascurabile, ma il loro impatto sulla credibilità e sulla tenuta complessiva dell’edificio europeo può rivelarsi perfino più pericoloso delle grandi emergenze. Nel caso del Covid e dell’invasione russa, del resto, la risposta dell’Unione è risultata decisa e compatta. Sullo scandalo Qatargate, invece, dopo il forte clamore iniziale e gli impegni solenni a stringere i freni, non si registrano grandi novità e la vicenda sembra quasi uscita dai radar.
Ora c’è un altro “affaire” che rischia di screditare l’immagine del Parlamento europeo, l’istituzione politicamente più rappresentativa, che l’anno prossimo dovrà essere rinnovata dai cittadini dei 27 Stati membri. Si tratta degli episodi di maltrattamenti e di molestie, anche sessuali, da parte di eurodeputati ai danni dei collaboratori che li affiancano nel lavoro quotidiano fra Strasburgo e Bruxelles. Domani è previsto che se ne occupi l’Ufficio di presidenza dell’Eurocamera, dopo che le proposte di intervento per affrontare il fenomeno sono state criticate da varie parti e giudicate insufficienti, in particolare dalle vittime.
I casi portati ufficialmente alla ribalta nella legislatura che si avvia a conclusione sono diverse decine, ma inchieste giornalistiche parlano apertamente di punta di iceberg. Chi subisce atti di bullismo e peggio, infatti, sostiene che presentare denuncia formale al comitato che deve indagare è quasi sempre inutile o addirittura dannoso. Si va spesso incontro a pressioni e a tentativi di dissuasione e per il giudizio si deve attendere sempre a lungo, addirittura fino a due anni, un tempo durante il quale la vita si fa ancora più difficile. Tra il 2019 e il 2021, su 34 inchieste formali per molestie psicologiche o sessuali, soltanto otto volte si è arrivati a provvedimenti punitivi. Mentre in più di un’occasione chi ha subito ha preferito rinunciare al ricorso o lasciare il posto.
Ovviamente non si può escludere che qualche accusa sia costruita ad arte, ma proprio per questo, da ultimo a inizio giugno, il Parlamento ha chiesto con 467 voti favorevoli e 17 contrari di velocizzare al massimo le indagini. C’è poi chi critica la composizione dell’organismo giudicante, formato da tre eurodeputati, che quindi potrebbero dimostrarsi indulgenti verso i loro colleghi. Si lamenta inoltre una insufficiente tutela di chi denuncia e dei testimoni.
Ma c’è un aspetto che agli occhi del cittadino comune può sembrare forse il più singolare. Pochissimi sanno che ad ogni nuovo deputato europeo viene offerto un corso di formazione, per imparare a formare e a gestire la sua squadra di assistenti (fino a tre a testa, pagati dalla Ue), compreso il modo di trattarli senza comportarsi da bullo, o peggio. Si può commentare: se uno desidera fare il parlamentare europeo, non dovrebbe aver bisogno di apprendere le buone maniere. Fatto sta che in questa legislatura solo 260 eletti su 705 hanno accolto l’offerta. Visto l’esito – e le denunce – si è proposto di rendere il corso obbligatorio. Domani Roberta Metsola e i 19 membri del suo “Bureau” di presidenza (14 vice e 5 questori), se ne occuperanno. Comunque decidano, viene da chiedersi: ma dove siamo?
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