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Bugaro, la crisi dell'imprenditore e la tristezza del bambino

Cesare Cavalleri mercoledì 20 maggio 2015
Avevamo lasciato Romolo Bugaro (Padova, 1962) finalista al Campiello con Il labirinto delle passioni perdute (Rizzoli, 2006) e lo ritroviamo con il nuovo romanzo Effetto domino (Einaudi, pp. 232, euro 19,50). Il passaggio editoriale da Rizzoli a Einaudi (cioè Mondadori) è un po' un portarsi avanti restando fermo, in vista dell'annunciato acquisto di Rizzoli da parte di Mondadori.In mezzo c'erano state Le ragazze del Nordest (Marsilio 2010), inattesa inchiesta sociologica in forma narrativa, svolta con Marco Franzoso. Proprio a proposito di questo libro avevamo scritto della "moralità antifrastica" di Bugaro, nel senso che nei suoi testi ci sono quasi soltanto personaggi negativi la cui infelicità è il contrappasso delle loro malefatte, per cui il lettore può capire che il male non paga e che il bene, semmai, si trova sul versante opposto.Anche Effetto domino non ha personaggi positivi. Racconta le peripezie di Franco Rampazzo, un costruttore con pochi scrupoli che s'imbarca, su consiglio dell'ancor meno scrupoloso mediatore immobiliare Colombo, nella costruzione di un quartiere lussuoso a Savignano, un paesino del Nordest. L'affare sembra lucroso, ma i guai arrivano presto, quando la Banca Industriale blocca il finanziamento con motivazioni quasi pretestuose. In realtà è in corso una lotta interna alla banca, dove uno sgradevole funzionario carrierista vuole dimostrare che le operazioni portate avanti dal presidente, di cui vuol prendere il posto, sono sballate, a cominciare proprio da quella con Rampazzo.L'effetto domino è innescato. Anche le altre banche si tirano indietro, Rampazzo non può pagare i fornitori i quali, a loro volta, non saldano i loro debiti e, di passaggio in passaggio, la catastrofe si generalizza. Il più fragile dei figuranti si ucciderà. Rampazzo alla fine si troverà estromesso dall'impresa che passa nelle mani di un giovane e insolente imprenditore che scarica su Rampazzo l'odio maturato contro il proprio defunto genitore, colpevole di averlo fatto ricco ma rinfacciandogli l'inettitudine. Questo mondo di spregiudicati che agiscono ai margini della legalità, pronti al tradimento e a danneggiarsi reciprocamente pur di realizzare l'unico imperativo esistenziale di costruire, fare, realizzare attività che ritengono importanti in sé prima ancora che per far soldi, è descritto dal bisturi di Bugaro con precisione chirurgica. La scrittura è asciutta, senza concessioni, implacabile e severa (avrei preferito però una descrizione meno dettagliata di un'iniziazione sessuale).La vita di queste persone che pensano solo agli affari ha un contrappasso di infelicità nelle relazioni affettive che, appunto antifrasticamente, restano un orizzonte positivo. Lo stesso Rampazzo, quando morirà la moglie, prenderà il suo posto in un coro parrocchiale, una prova d'amore che forse non aveva saputo mai darle quand'era viva.C'è un episodio apparentemente marginale, in cui la sensibilità di Bugaro viene allo scoperto. A pagina 181 la maestra d'asilo cerca di capire la tristezza di un bambino che non gioca con gli altri, e scava la sabbia con la paletta tutto solo. «Il papà è andato in un altro posto, in un'altra casa», ammette il bambino. Il suo dolore era tutto lì, e la maestra, «in un istante, aveva ricapitolato la gamma infinita delle occasioni di smarrimento della vita, senza poter trovare nessun ordine della sovrapposizione istantanea, nessun appiglio nello slittamento».Anche nel Labirinto delle passioni perdute c'era un bambino che, da quando il padre era uscito da casa, non poteva dormire e di notte perlustrava tutte le stanze per proteggerle da misteriosi incursori che lui solo sapeva, e continuava quella purificazione anche quando il padre era (provvisoriamente?) ritornato. Sarebbe bello che Bugaro abbandonasse l'antifrasi e portasse in primo piano queste cose, questi sentimenti.