Sono d'accordo con Buffon: la bufera di Calciopoli, abbattutasi sulla Juve, ha letteralmente "spappolato" gli juventini. Gigi è un campionissimo, è anche un ragazzo, e parla ancora come un ragazzo. Io l'ammiro, mi piace il suo modo d'essere oltre i limiti del campo. Ma devo invitarlo a un aggiornamento (come dire?) culturale. Non può parlare di Calciopoli come se la punizione caduta sulla Juve l'abbia decisa il Destino infame. Deve saper ricostruire il backstage, l'ambiente in cui si muoveva da grande attrice per grandi interpretazioni Madame Juve, sapientemente e spudoratamente guidata da abili registi. Chiamiamoli così. Deve anche ricordare, Gigi, quanti e quanto ci siamo battuti per lui perché una biricchinata non diventasse, alla vigilia dei Mondiali 2006, un dramma per lui e per la Nazionale. Io so che lui sa di avere avuto tutto e di più dal calcio e (forse: non posso sapere) dalla vita. Ragion per cui non deve prendersela più che tanto se oggi cominciano ad arrivare misurate critiche, flebili lamenti, affettuosi buffetti e timidi mugugni perché non fa più miracoli ed è diventato un bravissimo "portiere normale". Per fare un esempio, nessuno si permettete di confrontarlo con Cech o Reina, i due sciagurati protagonisti della bellissima sfida tra Chelsea e Liverpool (a proposito: non fatevi venire il mal di testa nel tentativo di approfondire le scelte tattiche di Hiddink e Benitez; è stato Cech con i suoi errori ad avviare la partita sui binari dell'epica contesa). Nessuno vuol paragonare alcune incertezze dell'ultimo Buffon con le buffonate settimanali registrate in un campionato che un tempo allevava portieri strepitosi, tanto che il ct azzurro aveva sempre una bella gatta da pelare, nell'ora della scelta. Pensi insieme a me, Gigi, alla storia personale di Dino Zoff, giustamente definito San Dino dopo l'ultima parata di Italia-Brasile nel Mundial '82. A Mexico '70 in porta c'era Albertosi, Dino stava in panchina, e da panchinaro era addirittura finito in una ironica canzone di Fausto Cigliano. In Germania nel '74, esordì con una strepitosa copertina di "Newsweek" dedicata alle sue magie e beccando un gol di tale Sanon, giocatore di Haiti, che fu subito fatto generale. In Argentina '78 lo massacrammo perché in Olanda-Italia prese due gol da lontano: dissero che non ci vedeva più. Così, quando con le sue parate (e i gol di Rossi, e le magie di Conti etc.) diventammo Campioni del Mondo, il grande Guttuso dipinse le sue mani miracolose intorno alla Coppa e quel dipinto diventò francobollo e icona di una bellissima Nazionale. Ripensi, Gigi, a quella vita da portiere, così avventurosa ma serena, nonostante le avversità e gli avversari. Mai patetica come avrebbero voluto i plastici versi di Umberto Saba: «Il portiere caduto alla difesa/ultima vana, contro terra cela/la faccia, a non veder l'amara luce. Il compagno in ginocchio che l'induce/con parole e con mano, a rilevarsi/scopre pieni di lacrime i suoi occhi». Ci ripensi, caro Buffon. E impari.