Sono tempi che ci pongono di fronte alla brutalità dell'inganno del superfluo, dei suoi orpelli e di come questi si sciolgano alla luce di un sole trascendente che nel silenzio della natura umana non smette di sorgere pur ignorato, pur da troppi anni dimenticato. Come bambini malamente educati, oltremodo viziati, ci siamo abituati a essere, nei decenni che vanno dal sesto all'ottavo dello scorso secolo, bisognosi di un "inutile" che è diventato segno di status collettivo dapprima, e distintivo quasi contemporaneamente. Se negli anni Cinquanta del XX secolo si festeggiava per l'arrivo di un frigorifero in famiglia, cosa comprensibile per l'oggettiva funzionalità di questo apparecchio, ormai parte del nostro "concreto immaginario quotidiano", l'arte della riproduzione (e dell'appropriazione di massa) di oggetti dal valore estetico o funzionale o entrambe queste cose ha invaso il nostro orizzonte dei desideri. Tutto è infatti potenzialmente comprabile assunti i crismi del sistema parareligioso del Mercato come escatologia rovesciata nell'immediato, e tutto diventa legittimazione "visibile" del maggior valore di "Sé" laddove lo si può semplicemente acquistare, "in porzioni". Come lanciati in una corsa esiziale, stiamo brutalmente frenando. Tutto il mondo lo sta facendo. E ciò è tanto, e veramente, meraviglioso.