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Brexit e pensioni, garanzie a tempo

Vittorio Spinelli martedì 12 febbraio 2019
Cresce il rischio di un mancato accordo con la Gran Bretagna per l'uscita dall'Unione europea entro il termine stabilito del prossimo 30 marzo. In questa eventualità, la Commissione europea ha adottato lo scorso 30 gennaio alcune proposte di emergenza in diversi campi, tra i quali i diritti pensionistici dei cittadini coinvolti dalla Brexit e il rispetto degli accordi comunitari in materia di sicurezza sociale. La Commissione ha affermato che hanno priorità i diritti degli europei che si trovano nel Regno Unito e i diritti dei britannici presenti nell'Unione e che nessun cittadino deve pagare il prezzo della Brexit. Anche in caso di "nessun accordo" deve essere salvaguardato il diritto fondante dell'Ue alla libera circolazione delle persone esercitato prima del recesso del Regno Unito. La tutela dei diritti si deve pertanto estendere ai periodi di assicurazione contributiva, di lavoro dipendente o autonomo e di residenza nel Regno Unito prima del recesso. Ad esempio, se un cittadino dell'Unione (composta da 27 Paesi) ha lavorato 10 anni in Gran Bretagna prima della Brexit, questo periodo deve essere considerato dagli Stati dell'Unione al momento della liquidazione della pensione. Verrà così garantito che gli Stati membri continueranno ad applicare i principi di aggregazione e di parità di trattamento nell'ambito del coordinamento della sicurezza sociale dell'UE. In ogni caso si tratta di proposte di natura temporanea, di portata limitata e che saranno adottate unilateralmente dall'UE. Gli Organi dell'Unione (Commissione, Parlamento e Consiglio) lavoreranno a stretto contatto per garantire l'adozione degli atti legislativi proposti in modo che siano in vigore entro il 30 marzo 2019. Infatti se l'accordo di recesso non sarà ratificato prima del 30 marzo, non vi sarà alcun periodo di transizione e il diritto dell'Ue cesserà di applicarsi da questa data nei confronti del Regno Unito e al suo interno. Nella proposta della Commissione non sono compresi i diritti accumulati dopo il 29 marzo 2019, né l'esportabilità delle prestazioni in denaro (per l'Italia non sono esportabili gli assegni sociali e le pensioni agli invalidi civili), l'erogazione in natura delle prestazioni di malattia (assistenza sanitaria, farmaci ecc.) e le regole da applicare ai casi che coinvolgono la legislazione nazionale dei vari Stati membri.