«Ogni detenuto che comincia a studiare, è una branda che si svuota». È una frase che circola nei nostri penitenziari, dove molti ristretti passano le giornate sdraiati a letto a guardare il soffitto e pochi - troppo pochi, anche a causa di un'offerta formativa scadente - dedicano tempo a migliorare la loro istruzione e quindi a porre le basi per un reinserimento attivo nella società. Mattia è uno dei 1.500 detenuti iscritti all'università, ha preso il diploma triennale e in questi giorni ha deciso di iscriversi a un corso di laurea magistrale. Ciò che non aveva fatto quando era un uomo libero, lo tenta adesso che si trova in carcere. In un presente che molti vivono come una parentesi, ma che può durare molti anni, sta costruendo un futuro che vuole radicalmente diverso dal passato. Il tempo sospeso è diventato tempo fecondo. Gli errori commessi continuano a pesare, ma non sono più un freno alla sua voglia di cambiare passo. In un contesto come quello delle carceri italiane – ancora sideralmente lontane dall'attuazione dell'articolo 27 della Costituzione dove si stabilisce che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato – Mattia ha deciso di percorrere la via dello studio come strada del suo riscatto. La vita non può aspettare tempi migliori, la vita è adesso.