Chi crede che il calcio non sia solo un gioco ma una forma di cultura universale allora scoprirà nel serbo Bora Milutinovic uno dei massimi operatori culturali e un pellegrino laico legato, anima e piedi, alla grande chiesa del football. A 73 anni questo nomade della panchina, capace di portare il verbo calcistico tra gli yankee del soccer americano, come tra i campi circondati dalle macerie dell'ultima guerra dell'Iraq, continua a viaggiare e a predicare. Ora anche nel deserto del Qatar: è ambasciatore dei prossimi Mondiali del 2022. Quelli di Russia li vedrà dalla tribuna, non ha panchina e avrebbe tanto voluto sedersi per una volta su quella della nostra Nazionale, anche perché dice, fraterno, «un Mondiale senza l'Italia è come un 25 dicembre senza albero di Natale». Il calcio per lui è una festa, uno sport che si fa filosofia di vita capace di abbattere tutti i muri e portarlo fin sotto alla grande muraglia cinese. Milutinovic, il primo vero ct europeo a spingersi, in tempi più grami, nel nuovo eldorado pallonaro della Cina. Dove arriva Bora c'è un vento di rivoluzione, di nuovo o rinnovato gusto del gioco e di sapiente ironia. «Prima del Mondiale entrai in una chiesa per parlare con Dio. Mi ha chiesto: cosa vuoi Bora? Ho risposto: segnare come la Francia! E Dio mantenne la parola...». Infatti, sia la Francia che la sua Cina uscirono dalla competizione senza realizzare un solo gol.