Nel centocinquantesimo anniversario dell'unità d'Italia non poteva mancare la ristampa di un prototipo esemplare come L'Italiano (Einaudi) di Giulio Bollati, sottotitolo: «Il carattere nazionale come storia e come invenzione». Questa ristampa è introdotta da David Bidussa, che avvia il suo discorso con una citazione dello stesso Bollati: «Gli italiani sono senza carattere, è il grido di scrittori e politici tra Sette e Ottocento (") Infiacchiti dalla lunga servitù politica, disavvezzi all'uso delle armi, esiliati nel sonno rissoso dei borghi, nel policentrismo velleitario delle città, gli italiani vanno risvegliati alla coscienza della patria comune, al ricordo dell'antica grandezza (") Questo è lo schema che finirà col prevalere (") I contenuti della pedagogia risorgimentale possono risultare discordi, disponendosi in un repertorio che va dall'estetismo eroicizzante del Foscolo alle tisane di "buon senso e buon cuore" offerte da Cesare Cantù (") La concordia è nella pedagogia stessa, che fa del Risorgimento un'aula immane. La letteratura è in prima linea nell'attività docente».
Il guaio fu, osservava Bollati nel 1972, che l'italianità fu teorizzata come antidoto alla modernità. Il Risorgimento tramandò alla nazione unita un «patrimonio di principî morali e spirituali» che erano in sostanza «spirito di conservazione» e di resistenza nei confronti della civiltà moderna. All'interno di questa diagnosi di Bollati (successivamente arricchita) il problema è stato e resta Leopardi. Il suo radicale antiprogressismo sarebbe pura conservazione? Leopardista e leopardiano, Bollati nel saggio del 1995 sulla «Prosa morale e civile» dell'Ottocento analizza la breve vicenda del patriottismo di Leopardi: la sua polemica colpisce il primato moderno della politica e della statistica, ironizza sugli «automi a vapore» del futuro, e guarda verso prospettive più ampie: l'utopia di un'umanità pacificamente confederata contro le minacce distruttive sia della natura che del progresso.