«Fa' il bilancio e la rassegna dei tuoi giorni» (dispunge... et recense vitae tuae dies). Chi voglia seguire questo invito di Seneca (La brevità della vita 7, 7) si sorprenderà occupatus, assorbito da vane occupazioni, oppure sapiens, uomo saggio? Sappiamo il tempo dedicato al lavoro, allo sport, ai viaggi, agli amici, ai divertimenti: ma quanto ai famigliari, agli affetti, agli altri, a migliorare noi stessi in compagnia del silenzio, dei libri, della propria interiorità? Delle tante decisioni prese nel corso della giornata quante sono urgenti, importanti, indifferibili? Dei totalizzanti e defatiganti impegni e appuntamenti, quanti rispondono a bisogni primari e autentici, e quanti invece sono indotti dalla cultura del superfluo? Quante strade percorriamo che non portano da nessuna parte? Una tavola di valori presiede alla nostra quotidianità oppure essa conosce – per usare la fulminante sentenza di Paul Ricoeur – l'ipertrofia dei mezzi e l'atrofia dei fini? Ricordo una convulsa assemblea accademica di alcuni anni fa, nella quale a fronte delle reiterate richieste e rivendicazioni («abbiamo bisogno di spazi, di laboratori, finanziamenti, di posti, di incentivi, di facilitazioni normative, di...»), il più anziano e autorevole dei colleghi ha bruscamente interrotto la litania delle geremiadi esclamando: «Rettore, abbiamo bisogno di poesia».