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Biodiversità, perché proteggere non è imbalsamare

Sandro Lagomarsini martedì 15 novembre 2016
Europa, Europa: quanto ti amiamo e quanto ci deludi! Non parlo delle grandi questioni, ma di cose piccole come la terra, i prati, gli orti. Poco distante da casa mia hanno costruito un caseificio. Hanno scelto, per la certificazione del latte, la strada più finanziata: il "biologico" . Scelta suicida. Agli allevatori di montagna il denaro veniva dato perché tenessero meno bestiame e "inquinassero" di meno. Così molti pascoli d'altura sono stati abbandonati e la produzione di latte è diminuita a tal punto che è a rischio la stessa qualifica di "produzione locale". Ora arrivano nuovi contributi per chi produce meno latte: chi resisterà alla tentazione? Le regole europee, filtrate dalla nostra burocrazia, fanno sparire anche le piccole produzioni casearie. Con l'imposizione delle piastrelle negli ambienti di stagionatura, intere partite si perdono, perché non è facile riprodurre di punto in bianco le condizioni ideali collaudate nel tempo. Mi domando come può sopravvivere il formaggio stagionato "in grotta": mattonelle anche in questo caso? Europa, Europa, che vuoi imbalsamare la "biodiversità"!
Pensiamo alla invenzione dei "Siti di interesse comunitario", sintesi di varie difettive di "protezione". In qualche Paese europeo la gestione di territori con particolari caratteristiche ambientali è stata affidata alle associazioni agrarie. La versione italiana – conosco più casi tra Liguria ed Emilia-Romagna – è consistita in una frettolosa schedatura, fonte di irragionevoli e costosi intralci alle tradizionali attività della campagna. «Corridoi» per gli uccelli di passo allargabili a dismisura, nel Piacentino. Siti con recenti colture intensive che non si possono riportare alle antiche destinazioni multiple (campi meno estesi e piscicoltura) nel Ravennate. Tritoni crestati «registrati» su cime montane che ospitano invece gli habitat del tritone montano.
Ho davanti le cartine pubblicate nel volume ligure "Natura 2000", Chi convincerà il granchio di fiume – frutto di immissioni sperimentali – a starsene nelle due sezioni di torrente che in teoria lo riguardano? L'ululone dal ventre giallo resiste in poche ristrette aree dei pascoli montani: verrà in mente a qualcuno di proibire il pascolo bovino perché il poverino potrebbe essere calpestato? In uno dei Siti liguri è stata messa sotto tutela la ginestra di Salzmann, infestante dei pascoli e usata fino a quarant'anni fa come esca per il fuoco domestico. Non sembra fosse necessario.
Oltretutto, la presenza di questa specie era già tutelata da secoli. Sapete da chi? Dai cacciatori, abituati a sorprendervi le lepri che dei germogli di quella ginestra sono ghiotte. Infine – può sembrare incredibile – l'Europa se la prende anche con me, e con migliaia di coltivatori di un orto familiare. Tutto parte da una direttiva che vuole "responsabilizzare" sull'uso degli anticrittogamici. Di qui l'obbligo di frequentare un corso e ricevere una patente, che abilita anche all'acquisto dei prodotti. Giusta misura per chi mette i suoi ortaggi sul mercato. Ma per noi produttori familiari?
Non basta. È stato unito alla classe superiore dei pesticidi – per la quale il "tesserino" era già obbligatorio – anche il solfato di rame. Costo dell'abilitazione: dai 70 ai 400 euro. Qualcuno, per acquistare il solfato si è visto chiedere la partita Iva. Ma noi ortolani familiari, cara Europa, abbiamo bisogno di poche irrorazioni per le nostre dieci piante di pomodoro e cinque piante di melanzana. Quale pericolo possiamo rappresentare? Io, produttore familiare da quarant'anni, ho trovato la soluzione "all'italiana": un rifornimento che basta per dieci anni. Poi si vedrà.