Bentornato Lichtenberg! Illuminista e raffinato fustigatore dei tedeschi
Lichtenberg (1742-1799) è sempre stato, in Italia e non solo, un autore per pochi. Un classico dell'Illuminismo tedesco, uno dei più tipici, incisivi saggisti e autori di aforismi delle letterature moderne, uno di quegli anomali, stravaganti talenti che in Germania, nella seconda metà del Novecento, hanno orientato le generazioni cresciute dopo la catastrofe nazista alla riscoperta del loro Settecento cosmopolitico, in alternativa e in polemica contro l'idealismo romantico, eroico e nazionalistico, visto come prologo culturale di molte future aberrazioni politiche. Lichtenberg è stato due cose insieme, dice Giulia Cantarutti: «Scienziato e illuminista da una parte, fautore dell'uomo intero, amante della società e della conversazione; e dall'altra crudelmente limitato e vulnerabile nel fisico, proclive all'introversione e all'introspezione». Soggiornò a lungo in Inghilterra, dove «aveva trovato una società che gli si confaceva (…). Frequentava scienziati, visitava fabbriche, leggeva Fielding, Smollet e ammirava la recitazione di Garrick. Tanto più provinciale e soffocante gli apparve, al ritorno, la sua Germania, e le sue frecciate contro i tedeschi sono tra le più famose».
All'Università di Gottinga, dove aveva studiato e dove insegnò, riuscì a restare in buoni rapporti con diversi insigni colleghi: ma queste frequentazioni non servirono «ad attenuare il suo disprezzo per la categoria dei professori tedeschi in generale», di cui non sopportava «la boria, la meschinità, la pedanteria, l'attenersi “più alla bibliografia che alla cosa stessa”». Fu avverso allo Sturm und Drang, prima esplosione tedesca del romantico furore soggettivo. Citava volentieri Machiavelli, Sarpi, Beccaria, Baretti. Commentò cicli pittorici di Hogarth come La carriera del libertino e Il matrimonio alla moda. Goethe disse di lui «dove Lichtenberg scherza, lì si nasconde un problema».