Non mi ricordo se è successo davvero o se lo sto solo immaginando, ma sono quasi sicuro che più di una volta, da una quindicina d'anni a questa parte, trovandomi nell'organizzazione di questo o quell'evento pubblico di natura culturale-religiosa, mentre si cercava invano se disponevamo di qualche “briscola” da giocarci, qualcuno ha detto, con sguardo sognante: “Se potessimo avere Roberto Benigni!”. Ed eccolo lì, ieri mattina, Roberto Benigni, nell'aula magna di un'università pontificia, partecipare a un evento pubblico di natura culturale-religiosa, e cioè la presentazione del libro intervista di Papa Francesco ad Andrea Tornielli, Il nome di Dio è Misericordia. Libro atteso; libro che, dalle anticipazioni, mi fa grandi promesse; libro che sarà letto e apprezzato, ritengo io, non a partire da chi c'era a presentarlo e dalla popolarità che gli avrà aggiunto, bensì per ciò che c'è scritto e per come è scritto.Tuttavia, ripensando a quello sguardo sognante, mi viene la curiosità di interrogare, per capire come è andata, la Rete, quella che frequento e anche quella più vasta che abitualmente non frequento. Il titolo preferito da quest'ultima è: “Da piccolo volevo fare il Papa”; qua e là incontro, tra i soliti commenti anonimi, troppa nostalgia di un “mitico” Benigni di una volta, anticlericale (ma Il Pap'occhio era un film ben poco aggressivo, se mai di una ironia lieve verso l'istituzione ecclesiastica e le novità del Papa di allora). Fino a chi, in un eccesso di disappunto, scambia l'attore per l'autore del libro... Invece sui siti e blog dell'informazione ecclesiale, così come sulle pagine Facebook dei miei amici, registro un generale consenso, punteggiato dalle sottolineature di altre battute sciorinate dal comico toscano nei 25 minuti della sua presentazione. Con una spiccata preferenza per quella che descrive il libro come un “Papa tascabile” e per quella in cui ha intonato, a modo suo, il Giubileo: il Papa “potrebbe vendere la misericordia a etti”.