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Benedetto XIII un asceta spirituale e rigoroso

Gianni Gennari sabato 30 aprile 2022
Vincenzo Maria Orsini, famiglia romana illustre, ma nato a Gravina di Puglia il 2 febbraio 1650. Giovanissimo rinuncia ai titoli nobiliari e si fa frate domenicano, ma il nome conta e a 23 anni è già cardinale: vescovo a Manfredonia, a Cesena e infine a Benevento, e il suo cuore rimane lì, in Irpinia. Papa a 75 anni, nel 1724, proprio in tempo per il Giubileo imminente: Benedetto XIII. Personalmente un asceta, spirituale e rigoroso, ma il cardinale Lambertini, futuro Benedetto XIV, che pure lo stimava fin dal nome come suo successore, scrisse che «non aveva la minima idea di cosa è governare». Un sant'uomo: per lui contava solo una cosa, restituire alla Chiesa credibilità religiosa e morale. Di qui leggi rigorose: niente lusso per cardinali e preti, niente barbe e parrucche, niente strascichi nei vestiti, e quelli che «sgarravano» a Corneto, oggi Tarquinia, in un carcere costruito apposta per loro. I preti «correvano» nel dire Messa, e lui stabilisce che «in ogni sacrestia si tenga un orologio da ruota per il quale si possa dal sagrestano conoscere se il celebrante impiega nel Sacrificio il tempo proporzionato». Dure regole, anche nel Giubileo, per bettolieri, prostitute, osti. Va di persona nei forni 4 volte, per controllare il pane che veniva dato ai pellegrini. Visita le carceri, mette tutti in regola. Cura la salute della gente e fa costruire l'ospedale di San Gallicano, «per li poveri che dalla lebbra, dalla tigna e dalla rogna fussero attaccati»: oggi è ancora lì, in particolare per le malattie della pelle. Vuole per il Giubileo grandi canonizzazioni: Giovanni della Croce, Luigi Gonzaga, Stanislao Kotska, Giovanni Nepomuceno. Per tutto l'anno non risiede al Quirinale, ma in Vaticano, per stare vicino alla gente. Anche le indulgenze le regola con rigore: nessun eccesso o ingiustizia. E proibisce le feste: niente Carnevale, niente cortei, niente sagre. E niente Lotto! Per lui è «usura di Stato», anche se pontificio. E i romani vanno a giocare a Napoli e a Firenze. I soldi vuole che siano usati bene: per esempio nel riscatto, dai Turchi, di 370 schiavi per 90.122 scudi, e va lui stesso ad accoglierli a San Pietro. Per Roma vuole celebrare un Concilio tutto speciale, il 15 aprile dell'Anno Santo, con processione da San Giovanni a Santa Croce a Gerusalemme: 35 cardinali e 80 vescovi in corteo. Insomma: disciplina, preghiere, penitenze, prediche, digiuni, e lui in prima fila. Insomma: che sant'uomo, ma che tormento! E Roma? Del governo temporale non si interessa per niente. Ha messo tutto in mano ad un suo segretario, ovviamente di Benevento, Niccolò Coscia. Lo aveva fatto cardinale e suo segretario, e gli aveva messo in mano tutti gli affari, politici e finanziari. E Coscia era un uomo a dir poco disinvolto: traffici, favori, complicità, corruzioni, affari anche con Stati confinanti. Roba da Tangentopoli in anticipo. Parola, tra l'altro, di un certo Montesquieu, nel suo celebre «Viaggio in Italia»: «Tutto il denaro va a finire a Benevento. Sono i beneventani che dirigono la sua debolezza, e siccome è gente da nulla, mandano avanti gente da nulla e tengono dietro quelli che sarebbero più capaci. A Roma regna oggi una pubblica simonia. E il popolo non si cura di niente».
Clemente, rigoroso e pio, continua così fino alla morte, che arriva nel 1730. Sulla sua tomba, a Santa Maria sopra Minerva, una mano maligna fece trovare questi versi: «Racchiude questo avello / l'ossa di un fraticello / più che amator di santi / protettor di briganti».
Per la cronaca Niccolò Coscia, il segretario di Benevento, finì per 10 anni in galera a Castel Sant'Angelo, messovi dal successore Clemente - nel caso si fa per dire - XII. Anche questo alla salute del buon Benedetto, qui «confratello d'Italia anche lui», serenamente irresponsabile di tutto! Riposi in pace.